Monia Del Pero aveva appena 19 anni quando fu uccisa a Manerbio, in provincia di Brescia, il 13 dicembre 1989. A mettere fine alla sua vita fu l’ex fidanzato Simone Scotuzzi, suo coetaneo, il quale non ancora rassegnato alla fine della loro relazione la attirò in una trappola mortale con la scusa di farsi restituire alcune foto. Quindi la strangolò e infilò il suo cadavere in un sacco nero gettandolo sotto un ponte nelle campagne tra Offlaga e Manerbio, nella Bassa Bresciana. Nei giorni successivi alla scomparsa partecipò persino alle ricerche della giovane. Poi alla fine, in preda ai rimorsi, confessò tutto. Da qui l’arresto e la condanna a 10 anni e otto mesi grazie agli sconti del rito abbreviato. Dopo aver trascorso 5 anni in carcere e altri due tra comunità e domiciliari, un anno fa l’assassino di Monia si è trasferito in Perù “e ha smesso di pagare. Mia figlia ormai è stata uccisa una seconda ed una terza volta”, ha commentato la mamma Gigliola Bono, che fa anni ormai sta portando avanti la sua battaglia per il risarcimento. La donna, come riferisce Giornale di Brescia, oggi 20 maggio comparirà davanti al tribunale ordinario di Roma per avanzare la sua richiesta di risarcimento. Il suo obiettivo è che sua figlia non venga più considerata una “vittima di serie B” ma “che venga equiparata alle vittime di mafia e di terrorismo”.



MONIA DEL PERO, LA LOTTA DELLA MADRE PER IL RISARCIMENTO

Oggi Gigliola, la mamma di Monia Del Pero, continua a lottare nonostante siano trascorsi quasi trent’anni dall’assassinio della figlia 19enne. “È un dolore che non va più via. Puoi cercare di nasconderlo. Ma ti resta sempre dentro, insieme al rammarico di non aver capito che lui era un pericolo per mia figlia”, continua a ripetere, come riferisce Corriere.it. Ma proprio da quel grande dolore sta cercando di trarne coraggio e adesso pensa alla sua lunga battaglia legale: “Se vinco questa causa, vincono tutte le donne morte dopo Monia”, dice. La donna rimprovera lo Stato per averla lasciata troppo tempo da sola e per non aver compreso il dramma del “dopo”, sia dal punto di vista affettivo che concreto. “Sa che io ho dovuto chiedere i soldi a mia madre per poter seppellire mia figlia? Avevamo appena comprato casa con i risparmi di una vita, non immaginavamo certo di dover far fronte alle spese del funerale di Monia. E poi, tutte le spese legali per i processi”, ha aggiunto. Quindi tuona: “Lo Stato dove era, dov’è? Attualmente il risarcimento previsto per le vittime di femminicidio ammonta a 7.200 euro, 8.400 per gli orfani. E viene erogato alla fine di tutti i gradi di giudizio. A una vittima di stupro vanno 4.800 euro”. Non le resta adesso che appellarsi all’articolo 3 della Costituzione sulle pari dignità dei cittadini davanti alla legge. “In verità non è così e da dieci anni aspetto che lo Stato italiano mi dica perché”, spiega, dopo aver ricevuto dall’assassino della figlia solo una minima parte del risarcimento stabilito dalla sentenza di condanna. “Chi ha ucciso mia figlia ha avuto dei diritti. A noi non ne riconoscono. È un dovere recuperare i carcerati, ma è un dovere assistere le vittime”, ha proseguito, annunciando – in caso di esito negativo della causa – di essere pronta a volare alla Corte dei diritti umani a Strasburgo. Perchè anche dopo 30 anni “non si può trovare pace senza giustizia”.

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