Lo scorso 19 ottobre, mentre l’Italia intera rientrava nell’incubo Covid-19 con l’ipotesi del lockdown che torna ad offuscare il futuro e il destino dei cittadini italiani, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Monsignor Massimo Camisasca ha scritto una breve lettera ai sacerdoti della Diocesi (qui il testo pubblicato dal portale Tempi.it, ndr) per esortarli ad accompagnare l’intera comunità in questo ennesimo periodo difficile del 2020. «Vi esorto a vivere con prudenza, ma anche con serenità, fiducia in Dio e capacità di relazioni il momento che stiamo attraversando». Ma è soprattutto la parte centrale ad aver accesso l’interesse anche dei media nazionali su una posizione tutt’altro che “main stream” nel racconto ormai quotidiano di questa infinita pandemia sanitaria e sociale: «Il nostro popolo può correre il rischio di entrare in una visione paranoica della realtà», spiega il prelato nella lettera pastorale. Oggi Maurizio Caverzan su La Verità chiede conto a Camisasca cosa intendesse con quelle parole e perché non dobbiamo cedere al “terrore” del Covid: «dobbiamo aiutare le persone a uscire dall’angoscia generare dall’ipotesi di ripresentarsi di una situazione già vista. Capisco che coniugare attenzione e libertà non sia facile, ma io preferisco puntare sulla maturità delle persone», sottolinea il monsignore che riscontra tanto nei preti quanto nell’intera comunità una «ansia esagerata», senza però per questo poter esser anche solo ipoteticamente tacciato di “negazionismo”.



LA LETTERA DI MONS. CAMISASCA ALLA DIOCESI

«Le persone devono essere sempre mosse d qualcosa di più grande: per i cristiani è la fede che ci insegna come Dio non abbandona mai il suo popolo. Lo accompagna e guida, insegnandoli a vivere le circostante del presente». Mons. Camisasca, senza alcun tono “forte”, accusa i giornali che pure fanno il loro mestiere di cronaca di «accento eccessivamente apocalittico», ma così anche nella politica, «non vedo la capacità di infondere coraggio insieme alle indicazioni di prudenza». Depressione, ansia, diminuita lucidità nella lettura degli avvenimenti, di questo parla Camisasca nell’illustrare i pericoli già presenti in questi mesi nelle persone semplici di fronte all’allarme martellante che arriva da media e politica: «qual è l’antidoto alla paura? Molti risponderebbero il coraggio ma, come diceva giustamente don Abbondio, il coraggio non ce lo si può dare. Dalla paura non si esce con le proprie forze. Occorre riconoscere che c’è qualcuno che ci prende per mano e ci insegna come attraversare il buio verso la luce». Nella lettera ai preti il vescovo ricorda come spesso nella scienza si parli come se si stesse rivelando dei dogmi e questo, spiega a La Verità, «Rischia di essere un nuovo idolo perché non si crede più alla vita oltre la morte. Se tutto finisce con la morte, la salute diventa una divinità». Poi il passaggio forse più importante dell’intero assunto di Mons. Camisasca, ovvero quando spiega come l’etica civile regge soltanto quando si riconoscono le ragioni della fraternità: «altrimenti l’invito cade nel vuoto». Secondo il vescovo di Reggio Emilia, «il moralismo è una morale senza adeguate radici e noi, oggi, più che a una pioggia di moralismo, assistiamo ad un uragano». E così, riprendendo un passaggio della sua lettera, l’invito è quello di vivere, domandare e chiedere, sempre: «Mai come in questo momento è chiaro che le ragioni della fede sono le ragioni della vita: Dio non ci abbandona, ci prende per mano, e lo fa anche chiedendoci di soccorrere a suo nome chi è bisognoso. Non possiamo permetterci che, di giorno in giorno, l’unico criterio sia chiudersi in casa».

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