Sono i giorni in cui dopo aver ottenuto le firme necessarie, il referendum sull’eutanasia legale viaggia spedito verso la convocazione alle urne per i prossimi mesi: ma sono anche i giorni in cui un medico, già membro del Comitato Nazionale di Bioetica, come il professor Mario Riccio sulle colonne del “Fatto Quotidiano” reclama il diritto, anzi il “dovere morale” di «accompagnare a morte i pazienti che lo desiderano». Ecco che oggi su “La Verità” il vescovo di Reggio Emilia Mons. Massimo Camisasca interviene denunciano il rischio della catastrofe umanitaria e sanitaria qualora si dovesse arrivare alle estreme conseguenze di una legge sull’eutanasia.
«L’uomo non è padrone della propria vita. Per comprendere questa affermazione è necessario entrare nelle linee fondamentali che guidano una delle culture prevalenti dell’epoca contemporanea, quella che Giovanni Paolo II chiamava “cultura della morte” e Francesco chiama “cultura dello scarto”», spiega il vescovo fondatore della Fraternità di missionari “San Carlo Borromeo”. Il problema dell’eutanasia è che in quella condizione l’uomo si sente unico padrone di sé stesso e decide così di tenere “lontani” i «segni dei limiti della propria esistenza», ovvero malattia e morte. «Siamo invitati a riconoscerci come illimitati e onnipotenti, diventiamo così disumani. L’umanità invece sta nella cura, nel prenderci cura di noi stessi e degli altri», rileva il vescovo di Reggio Emilia.
“PERICOLO NAZISTA OGGI? POI PERÒ SI LEGITTIMANO LE POLITICHE EUGENETICHE”
Eutanasia e accanimento terapeutico, secondo Camisasca, sono i sintomi dello stesso “peccato”: «L’accanimento terapeutico che vorrebbe salvare a tutti i costi dimentica che l’uomo è mortale. L’eutanasia attiva o passiva dà al- l’uomo le chiavi della propria soppressione, anche qui dimenticando che egli è creatura». Ma è un nodo laico, umanitario e culturale che il vescovo intende rilevare sul tema del prossimo referendum, citando autorevoli pareri di giuristi come Giovanni Maria Flick e Luciano Violante che hanno delineato i medesimi rischi: «Se noi diamo all’uomo il diritto di uccidere non potremmo più fermare la catena delle morti. Perché allora combattere la pena di morte? Perché combattere la violenza sulle donne? Tutte lotte sacrosante, ma che possono trovare la loro giustificazione e forza soltanto in una legislazione che riconosca il valore sacro di ogni vita». Tutt’altro che fuori dalle dinamiche politiche e mediatiche attualissime, Mons. Camisasca nota con acutezza un tema centrale nella stragrande maggioranza dei media nostrani: «Le derive eugenetiche del nostro tempo sono state notate da tanti autorevoli pensatori. Mi impressiona notare come una massiccia informazione sui pericoli del ritorno del nazismo sia completamente cieca di fronte a questi aspetti». Secondo il vescovo occorre che lo Stato arrivi ad una legislazione di chiaro sostegno alla vita, capendo come spendere di più e meglio per i propri malati e non pensando a “ridurli”: al di là della premessa fondamentale di non voler giudicare alcun caso specifico («Non nego l’immensa sofferenza di chi è segnato da malattie irreversibili, talvolta da lunghi anni, e il dolore e la fatica dei famigliari. La ricerca medica e la legislazione sociale sono chiamate ad aiutare queste situazioni drammatiche. Cosa farei io se mi trovassi in quelle situazioni?»), Mons. Camisasca ragiona sui possibili effetti e conseguenze di una legge post-referendum: «Chi stabilisce se per quella persona il dolore è intollerabile? Come valutare il dolore psichico? Ogni depresso avrà diritto all’eutanasia? Ogni depresso ha pensato almeno una volta al suicidio». Non manca infine un monito lanciato alla stessa Chiesa Cattolica, pur intervenuta in questi mesi più volte contro il referendum sull’eutanasia: «Ritengo che nella Chiesa di oggi ci sia poca attenzione alle tragiche derive culturali del nostro tempo. Non si tratta tanto di fare battaglie, quanto di prendere co- scienza della tragica svolta antropologica e di ricominciare a tessere, a partire dall’educazione dei più piccoli, l’alfabeto dell’umano che abbiamo quasi completamente dimenticato».