Monsignor Gianfranco Ravasi, 78 anni, è dal 2007 presidente del Pontificio Consiglio della Cultura,
della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie. Quest’oggi, lunedì 19 luglio 2021, è intervenuto sulle colonne del quotidiano “Libero”, per un’intervista a tutto tondo sulla Fede e sulla religione. Partendo dalla sua vocazione, il religioso ha precisato che non è possibile identificare una data precisa, anche se la religione lo ha sempre interessato, ma questo non gli ha impedito, talvolta, di nutrire dubbi sulla Fede: “Il dubbio è presente, è componente del credere. Giobbe dice a Dio: ‘Quand’anche tu mi uccidessi, io continuerò a credere in te’. Nella sua Fede c’è un elemento paradossale. L’itinerario del suo credere può comprendere persino la blasfemìa: giunge persino ad accostare Dio a un arciere sadico”.
Ne deriva che la Fede è un’esperienza esistenziale, ma anche un rischio, soprattutto perché non sappiamo cosa ci attenda dopo la morte: “Noi cattolici seguiamo la dottrina della risurrezione. Una ri-creazione, una nuova creazione nella quale non ci sono più le due categorie limitative dello spazio e del tempo. Quelle scintille che sono ancora in noi entrano in dimensioni diverse, il divino e l’umano vanno in collisione”.
MONSIGNOR GIANFRANCO RAVASI: “DIO È MORTO COME I MALATI COVID”
Monsignor Gianfranco Ravasi su “Libero” ha ricordato successivamente che Dio è morto come uomo prima di risorgere e, nella sua Passione, vi è traccia di tutte le modalità della sofferenza: Cristo che ha paura della fine, isolato degli amici, tradito, torturato. Addirittura, “la morte per soffocamento e asfissia come per i malati Covid, perché sulla croce si muore così. E il silenzio del Padre, con il figlio che lo invoca: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Dentro il dolore è passato anche il Signore, che vi ha deposto un germe di eternità e quindi di rinascita”.
Pertanto, ha senso parlare di Inferno, Purgatorio e Paradiso? Secondo monsignor Ravasi si tratta di condizioni dell’anima, non di luoghi, e nell’Inferno vive probabilmente chi ha rifiutato del tutto Dio. Tuttavia il Signore, nella lotta estrema tra la vita e la morte, “ci permette di fare l’ultima scelta. Peraltro, ci sono esperienze che già in vita consentono di guadagnarsi il Paradiso. Come ad esempio le madri che hanno sofferto pene che io non sarei in grado di sopportare. Penso alle mamme sopravvissute al
proprio figlio”.
MONSIGNOR GIANFRANCO RAVASI: “FU GESÙ A CREARE TWITTER”
Sempre su “Libero”, monsignor Gianfranco Ravasi ha evidenziato che anche nella società moderna possiamo e dobbiamo provocare, come fece Gesù ai suoi tempi, dicendo anche il contrario di ciò che è dominante, andando controcorrente. “Cristo non ha avuto esitazione a circondarsi di cattivi compagni: prostitute, peccatori, apostoli che lo tradiscono. Ed è stato il primo e più grande comunicatore”. Talmente grande, che, secondo l’intervistato, è stato lui a fare la prima televisione e il primo tweet. In che modo? “Attraverso la parabola – ne ha inventate trentacinque (o settantadue, se le valutiamo in senso più ampio) – ha comunicato l’immagine senza l’immagine”.
Twitter, però, cosa c’entra? Gesù ha fatto ricorso spesso al lòghion, il detto folgorante, come “Rendete a Cesare quel che è di Cesare”. “Cinquanta caratteri greci che racchiudono tutto – ha concluso monsignor Ravasi –. O ‘Convertitevi e credete nel Vangelo’: un tweet perfetto. C’è molto da imparare dalla modernità della sua predicazione”.