Alle domande ficcanti di un direttore di tradizione comunista ma che si definisce oggi «senza più parrocchia, mi restano le battaglie per i diritti e la libertà» come Piero Sansonetti oggi sul Riformista replica Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita: «Si può essere cristiani senza Dio?» è la domanda ricca di speranza per un “misterioso senso religioso” che il giornalista non credente ammette di avere nel proprio animo. Al netto dell’ateismo, «come possiamo ritrovarci tu ed io in valori assoluti? Valori e principi sono la stessa cosa?» si chiede ancora Sansonetti nell’accorata lettera inviata a Mons. Paglia sulle pagine del proprio quotidiano. Oggi giunge la lunga replica del religioso: «Si può essere cristiani senza credere in Dio?” In prima battuta è ovvio che non è possibile. Gesù stesso “crede” nel Padre che sta nei cieli. Se togliamo dai Vangeli il riferimento a “Dio-Padre”, cade l’intero Vangelo». Eppure per Paglia il concetto di fede non è primario e importante per potersi dire “cristiani”: «Più che tra ragione e fede, bisogna parlare di ragione e amore. Gli uomini e le donne non si dividono tra chi crede tanto, poco, per niente. Si dividono tra chi si ferma (il Samaritano del Vangelo) e chi va oltre la sofferenza dell’altro e tira dritto. Non è la fede il discrimine. È l’amore», sostiene Mons. Paglia nel suo lungo intervento sul Riformista.
LA FEDE, LA RAGIONE E…
Secondo il monsignore ad oggi «Credo che dobbiamo andare oltre il pur serio dibattito attorno al polo alternativo di fede e ragione: dispositivo che ha finito per far valere una politica di reciproca esclusione tra credenti e raziocinanti come se fossero mutazioni antropologiche in- compatibili tra loro. Se rimaniamo in questo orizzonte rischiamo il corto circuito»: per questo motivo, per la storia della Chiesa è fondamentale ammettere che «In ogni singolo essere umano c’è in realtà uno spazio attorno a cui “pensare” e “affidarsi” si devono incontrare: per l’onestà intellettuale di una coscienza che riconosce nella testimonianza del mistero che ci parla, spoglia della presunzione di possederlo, lo stesso struggimento del senso della vita di cui il pensiero è amante, senza poter esserne padrone».
È dunque sulla “via dell’amore” che un ateo come Sansonetti e un credente come Paglia possono “trovarsi e ritrovarsi”: «sulla via dell’amore che è possibile non solo l’incontro ma anche l’alleanza per trasformare il mondo. L’indicazione viene chiara dal Vangelo della Misericordia che in questo tempo stiamo comprendendo ancor più profondamente. Nella tradizione cristiana l’amore (agàpe) è il cuore del mistero. È Dio stesso che si comunica in maniera storica, effettiva, trasformante». Nella parte conclusiva della sua lunga lettera, Monsignor Vincenzo Paglia tra le conseguenze di tale “provocazione” citando prima San Paolo poi quel “Vangelo per i non credenti” tanto amato da Monsignor Carlo Maria Martini: «”Quello che hai fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’hai fatto a me”. In questa “via amoris” tutti possiamo ritrovarci, credenti in Dio e credenti solo religiosi, credenti laici e non credenti affatto». Questo “amore” per i credenti ha un nome e una faccia, Gesù Cristo, mentre per chi non crede – conclude Paglia – «è senza nome, ma sempre cielo è. L’amore è il presente assoluto, e l’assoluto futuro. Alla fine della storia, quando tutto avrà termine, non ci sarà più nessuna virtù umana, nessuna divisione. Solo l’amore. Solo la misericordia. Gli uomini e le donne non si dividono tra chi crede tanto, poco, pochino, molto, quasi per niente. No! Si dividono, semmai, tra chi si ferma (il Samaritano del Vangelo) e chi va oltre (tutti gli altri, il prete dell’epoca compreso!); tra chi ha uno sguardo di misericordia e si preoccupa della sofferenza dell’altro e chi tira dritto».