«L’eutanasia non è un diritto, semmai è falsa compassione»: lo afferma a “La Verità” il vescovo di Ventimiglia-San Remo, Monsignor Antonio Suetta, commentando l’evoluzione parlamentare del testo sul Fine Vita. Dopo averla definita un “pericoloso grimaldello”, il prelato entra nel dettaglio riguardo la proposta di legge che ricalca le linee guida (seppur “ammorbidite” dalla mediazione del Centrodestra) della sentenza Consulta sull’aiuto al suicidio Dj Fabo-Cappato: «Siamo partiti con le Disposizioni anticipate di trattamento, il biotestamento; siamo arrivati al referendum per l’eutanasia, che serve a depenalizzare una parte dell’articolo del codice penale che punisce l’omicidio del con- senziente; lo scopo ultimo, chiaramente, è lo sdoganamento completo dell’eutanasia».



È un tema delicato che richiede una profonda analisi non banalizzante dalle “tifoserie” da sempre schierate sul tema eutanasia: per Mons. Suetta parlare della “dolce morte” è come porre una «falsa compassione» per coloro che si trovano in quelle drammatiche situazioni. «Io parlerei di una “tentazione” di desiderare la morte, che in fondo è comprensibile, in certe condizioni. Non si deve dimenticare che anche il dolore più resistente e devastante può essere affrontato con adeguata e graduale terapia; soprattutto non dobbiamo trascurare che a questa tentazione è possibile e necessario rispondere con autentica vicinanza umana, psicologica e spirituale», sottolinea il vescovo ligure.



“L’EUTANASIA NON È UN DIRITTO”

Il problema è che l’eutanasia, per Monsignor Suetta – come già lo ricalcava perfettamente un altro vescovo, questa volta di Reggio Emilia, come Mons. Camisasca – è solo apparentemente una “concessione” di una compassione umanitaria: «quella “tentazione” o quel desiderio, per quanto comprensibili, non necessariamente costituiscono il fondamento di un diritto. Insomma, non sempre il fatto che si desideri una cosa rende buono o doveroso il concederla. Ma mi rendo conto che qui non si tratta solo di dare risposte in termini di precetti». Per il vescovo e sacerdote, la vera risposta più adeguata all’enorme dramma della sofferenza fisica e psichica è la cura, «concetto molto più esteso di quello di terapia». Per Suetta, «Si cura una persona anche quando la si “accompagna” umanamente lungo il percorso della sua patologia irreversibile. Aggiungo che gli ideologi dell’eutanasia, a mio parere, non sono affatto mossi da un’autentica compassione verso il malato: mi sembrano spinti, piuttosto, da una forma di calcolo economico». Il problema è che pare in alcuni casi – specie quando si considera la tematica a livello politico – che piuttosto della cura interessi il contenimento della spesa: «non è la salute che fonda la dignità dell’uomo», tuona Mons. Suetta sempre dalle colonne de “La Verità”. Resta problematico sempre distinguere la scelta di interrompere trattamenti medici inutili e addirittura dolorosi, rispetto al concedere con l’eutanasia la morte al paziente: ebbene, il vescovo ammette che non esiste un confine “netto”, «Come in tutti i casi in cui l’uomo è chiamato a collegare l’oggettività della norma con la soggettività della situazione, la mediazione deve essere svolta dalla coscienza. Almeno quella del paziente e del medico, che valutano benefici e conseguenze indesiderate della terapia, in termini di sofferenza ed effetti collaterali». Parola finale sul giudizio di una Chiesa che non sempre a tutti i livelli sembra “attenta” ai temi etici come aborto e eutanasia: per Mons. Suetta, Papa Francesco è sempre molto presente e netto contro l’individualismo e il relativismo in campo etico, eppure «parla, con estrema chiarezza, di aborto, eutanasia e altri principi fonda- mentali della dottrina cattolica, i mezzi di comunicazione si guardano bene dall’evidenziare il messaggio. Al contrario, i media enfatizzano quando dice cose altrettanto giuste, ma più confacenti alla sensibilità del momento».

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