Chissà quanti altri capolavori ci avrebbe lasciato Schubert se non moriva a 31 anni, o Masaccio a 27. O cosa avrebbe ancora scoperto Majorana se non spariva nel nulla a 32 anni. O quali altre imprese avrebbe compiuto Enzo Cozzolino (1948-1972), se non cadeva mortalmente in parete a nemmeno 24 anni. I paragoni con i grandissimi scomparsi troppo giovani non sembrino irriverenti, perché anche Cozzolino era un genio nel suo campo. Secondo Reinhold Messner, che gli ha dedicato una sezione in uno dei suoi musei, “è stato un genio sulla roccia”.



A 50 anni dalla morte, la sua sezione XXX Ottobre del Cai di Trieste, la mitica “Trenta”, culla di tanti altri alpinisti celebri, a cominciare da Emilio Comici, gli ha dedicato ora un libro bello e commovente, Enzo Cozzolino. Dall’alpinista all’uomo, con contributi di Messner appunto, Gogna, Dalla Porta Xydias, Rumiz e altri giganti della montagna. Impreziosito da foto mai viste, da schizzi e relazioni di pugno di Cozzolino medesimo, da un bell’acquerello di Riccarda de Eccher che raffigura come meglio non si potrebbe il diedro Cozzolino sul Piccolo Mangart di Coritenza. La sua via più famosa, quella riga diritta tra terra e cielo che calamita lo sguardo di chiunque si trovi intorno ai Laghi di Fusine, sopra Tarvisio. Anche sulla sud dell’Antelao, sulla Scotoni, sulla Busazza e altrove aprì vie avveniristiche in poche stagioni estive e invernali, in anticipo di decenni sui tempi.



“Ancora oggi rimane una vera rivoluzione nella storia di uomini e montagne”, scrive Saverio D’Eredità. Per fare solo un piccolo esempio, fu “Grongo” (il soprannome che gli avevano dato gli amici) a inventare l’uso della magnesite per migliorare la presa delle dita. Probabilmente è stato il più grande arrampicatore della storia italiana, saliva in libera dove altri anche molto forti tentavano con chiodi a espansione. Racconta Luciano Corsi, suo compagno in quell’occasione, che durante la prima sullo Spiz d’Agner Enzo piantò un unico chiodo di sicurezza a una sosta ma non l’usò, spiegandogli poi che nella relazione avrebbe dovuto scrivere di aver messo almeno un chiodo, altrimenti come via estrema sarebbe sembrata assurda.



Chi a Trieste vide scalare sia lui che (trent’anni prima) Comici, diceva che Comici dava sempre l’impressione di grande forza fisica, salendo la parete come a balzi inarrestabili, mentre Cozzolino era tutto fluidità e leggerezza. Proprio come lo scalatore puro per eccellenza, Paul Preuss, caduto 60 anni prima di Cozzolino e anche lui per cause ignote, quasi sotto la cima del Mandlkogel.

Ancora Messner sostiene che furono Bonatti sul misto e Cozzolino sulla roccia i primi a realizzare in parete il VII grado, tacendo modestamente che sulle Dolomiti in realtà il precursore fu Reinhold stesso, nel ’69, sul Grande Muro del Sass dla Crusc in Val Badia. Però quello che rispetto a loro è invece mancato a Cozzolino, ci ricorda Flavio Ghio, è stato “il tempo di vivere”. Lo sapeva ahimè lui stesso. Racconta il suo compagno di banco del liceo che Enzo “ripeteva spesso che valeva la pena vivere fino a 25 anni perché dopo, inesorabilmente, il fisico era destinato a declinare”.

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