Questo 2019 è già un annus horribilis nel mondo dell’alpinismo. Come per le grandi tragedie del 1986 sul K2 e del ’96 sull’Everest. Prima Daniele Nardi e Tom Ballard caduti sul Nanga Parbat, ora David Lama, Hansjörg Auer e Jess Roskelley travolti da una valanga sull’Howse Peak nelle remote Montagne Rocciose canadesi. Scomparsi insieme tre dei migliori e più famosi alpinisti del millennio.



David Lama, 28 anni, figlio di un’infermiera austriaca e di uno sherpa nepalese, bambino prodigio dell’arrampicata, a 10 anni già scalava sul grado 8a, corrispondente al decimo grado della scala tradizionale (quella che una volta finiva col sesto grado alle soglie dell’“impossibile”…), un po’ come attaccarvi al soffitto della vostra stanza. Divenne celebre anche al di là delle cronache alpinistiche per aver salito totalmente in arrampicata libera nel 2012 la “via del compressore” sul Cerro Torre in Patagonia, dopo che due americani avevano tolto i famigerati chiodi piantati col trapano nel 1970 da Cesare Maestri. Poi aveva aperto grandi vie in tutto il mondo, spesso su montagne dimenticate o poco note, sempre in stile “puro”, senza compromessi con i mezzi artificiali.



Lo stesso stile seguito con rigore da Hansjörg Auer, austriaco 35enne, anch’egli improvvisamente famoso nel 2007 per aver salito da solo e senza corda le placche verticali della mitica via del Pesce, in Marmolada. E protagonista negli anni successivi di altre grandi imprese in Dolomiti e in Asia.

Jess Roskelley, 38 anni, uno dei migliori alpinisti americani, a 20 anni fu il più giovane statunitense in vetta all’Everest, che salì insieme al padre John, che a sua volta nel 1978 era stato il primo ad aprire sul K2 una via nuova, sulla lunghissima cresta nordest, dopo lo Sperone degli Abruzzi percorso dagli italiani.



“Metà dei migliori alpinisti mondiali muore – è stato il primo commento di Reinhold Messner -, a quei livelli l’alpinismo tradizionale è follemente pericoloso. Non è una questione di capacità ma di fortuna o sfortuna”. Fortunato, e “Sopravvissuto” come titola il libro sui suoi 14 Ottomila, è stato Messner, capofila dell’alpinismo puro e tradizionale.

Sfortunati Lama, Auer e Roskelley. Ma caduti sul campo, con onore, morti per un ideale in cui credevano profondamente.