Scalare le pareti rende felici. Molto felici. Tanti  libri scritti dai grandi alpinisti sono però tragici, sia perché raccontano di tragedie che avvengono in montagna sia perché comunicano un senso di dramma incombente. Insomma, “La morte arrampica accanto”, come titolava un famoso libro di Toni Hiebeler.

Niente di tutto questo nei nuovi libri di due dei migliori alpinisti italiani dell’ultima generazione, La via meno battuta di Matteo Della Bordella (classe 1984) e L’impossibile è un po’ più su di Jacopo Larcher (nato nell’89). Entrambi editi da Rizzoli e molto diversi nella veste grafica: austero e un po’ all’antica il volume di Della Bordella, patinato, graficamente innovativo e traboccante di foto quello di Larcher. Ma accomunati dalla gioia e leggerezza che ci sono in ogni pagina, una spensieratezza anche nelle situazioni più difficili e scabrose che li rendono una felice (appunto) eccezione nel panorama della letteratura di montagna. Sembra di leggere gli scanzonati racconti di scalate ed escursioni degli inglesi dell’800, dalla Edwards a Gilbert e Churchill, accompagnati da allegre bevute e deliziosi acquerelli, ma trasposti sulle vie di scalata più estreme dell’alpinismo e dell’arrampicata di oggi. E in ogni capitolo abbiamo comunque il desiderio di vedere come va a finire, segno che le avventure sono ben scritte.



Sia Della Bordella che Larcher raccontano la storia della loro passione per la vita verticale cominciando da bambini, 10 anni o poco più, con due inizi opposti poi convergenti. Larcher a Bolzano nella prima palestra d’arrampicata d’Italia, poi nelle gare, nelle falesie e infine nelle lunghe vie alpinistiche. Della Bordella subito in alta montagna con il padre, per poi appassionarsi anche alle vie brevi in falesia e ai massi.



Larcher ha realizzato grandi scalate in Yosemite, sull’Eiger, in Marmolada, in Siberia, anche se forse la “prima” di cui va più orgoglioso è lunga meno di 30 metri in una falesia della Val d’Ossola: ci ha messo sei anni a completarla, sempre respinto dall’ultimo metro ma sempre col sorriso e la voglia di riprovarci. Proprio per “vivere la verticalità in ogni suo aspetto, che è poi quello che mi rende felice”.

Della Bordella ha portato il mitico maglione rosso dei Ragni di Lecco (di cui adesso è presidente) a primeggiare su pareti strapiombanti della Patagonia, del Karakorum, della Groenlandia, perché, scrive, “la montagna mi chiama ogni giorno e mi dice di non mollare: nell’alpinismo e in tutta la mia vita. Fai quello che ami e fallo con coraggio”. Appiglio dopo appiglio, metro dopo metro, giorno dopo giorno.