Compie 50 anni questo inverno una delle scalate più strabilianti e misconosciute della storia dell’alpinismo. Era il 1974 quando in cinque giorni, a marzo, Riccardo Bee e Franco Miotto realizzarono la prima invernale della via italo-polacca aperta nel 1967 sull’abisso del Burèl, un chilometro e mezzo di rocce verticali e strapiombanti sopra Belluno, l’unica parete dolomitica insieme a quelle del vicino Agnèr che per dimensioni stia alla pari con colossi delle Alpi occidentali come l’Eiger o la Brenva. La salita di Bee e Miotto assunse toni epici e leggendari, ad esempio la perdita quasi subito della giacca piumino di Miotto, che li costrinse poi per cinque gelidi giorni ad alternarsi mezz’ora ciascuno col duvet di Bee. Miotto si è spento di vecchiaia a quasi 90 anni, nel 2020, Bee cadde mortalmente sulla nordest dell’Agnèr nei giorni di Natale dell’82, a 35 anni, mentre cercava di aprire in solitaria invernale una nuova via diretta a destra della “storica” Messner.
Insieme, Bee e Miotto avevano aperto molte vie di difficoltà estrema, sia sullo stesso Burèl, sia in valle di San Lucano, dove nel ’79 il loro spigolo dei Bellunesi sullo Spiz di Lagunaz fu immortalato in una celebre definizione di Alessandro Gogna (“l’orgia di tetti gialli e muraglie grigie sfiora il delirio”), sia sul muro liscio del Pelmo da sudovest. Vie con pochi chiodi, che a volte furono ripetute solo decenni dopo.
Era, come disse qualcuno, “un alpinismo fatto di sogni”. Poi la cordata litigò e si sciolse, Bee da solo spostò ancora più avanti il limite delle difficoltà con delle prime solitarie che a volte non sono mai state ripetute, anche perché nessuno sapeva bene dove passavano, tanto l’alpinista era riservato e parco di informazioni: ad esempio la sua direttissima sulla sudovest dell’Antelao.
Ma il motivo che ci spinge a rievocare la titanica figura di Bee è un film documentario di un’ora e mezza, L’ultima via di Riccardo Bee, di Emanuele Confortin, che ha ricevuto il premio del pubblico all’ultimo Filmfestival di Trento e che abbiamo appena visto grazie alla cortesia dell’autore.
Il film è meraviglioso, sta in un podio ideale del grande cinema di alpinismo insieme a Nordwand di Stölzl e I naufraghi del Monte Bianco di Ducroz. Ovviamente montagne e pareti sono protagoniste, con le grandi vie aperte da Riccardo. Ma anche le interviste che fanno da filo conduttore, a volte un po’ il punto debole di questo genere di film, qui sono una più bella dell’altra, alle figlie (la più giovane nacque dopo la morte del padre), la moglie, i fratelli, gli amici, tutte assai commoventi e al tempo stesso precise e ricche di dettagli. Purtroppo il film non ha la diffusione che merita, a parte qualche sporadica proiezione pubblica in area dolomitica non è finora disponibile nelle sale, né in streaming. Ci auguriamo che in tanti, invece, possano presto vederlo.
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