“Dovremmo essere solidali. Invece questo momento tira fuori il peggio di noi”. Così termina il pezzo pubblicato qualche giorno fa su ilprimatonazionale.it dedicato alle code davanti al Banco dei pegni dell’Istituto San Paolo di Torino. I fatti, oramai, sono noti. Dopo un mese di lockdown, c’è chi non ce la fa. Chi sbarcava il lunario con lavoretti saltuari, chi si arrangiava con attività marginali. Ma anche tanti, tantissimi che fanno lavori autonomi, ordinari, dignitosissimi: se l’attività è sospesa, non ci sono più entrate. E non tutti hanno qualcosa da parte, non tutti hanno come estrema risorsa la pensione del nonno. E allora, come una volta, vanno a impegnare le poche cose di valore che hanno: un anello, una collana.
Ma anche gli impiegati del banco sono ammalati, l’emergenza allunga i tempi, e allora le code si allungano, e si moltiplicano: c’è chi arriva da fuori Torino per la seconda volta, la terza, la quarta. E allora c’è chi cerca di fare il furbo, di accorciare la fila. E allora c’è chi si inalbera, e scoppiano le liti. Come già osservava il saggio Alessandro Manzoni, raccontando dei capponi che Renzo portava ad Azzeccagarbugli, e lungo la strada strapazzava malamente; e le bestie maltrattate “s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.
Però io mi permetterei una piccola correzione al testo del pezzo da cui sono partito. Non è vero che questo momento tira fuori il peggio di noi. Direi piuttosto che tira fuori il fondo di noi. Il dramma, il pericolo, l’emergenza, ci spogliano delle vesti con cui ci difendiamo, con cui copriamo quel che sta al fondo di noi. E vien fuori la nostra natura profonda. Vien fuori l’animale primitivo, l’homo homini lupus, il mors tua vita mea, che non guarda in faccia a nessuno, che per un posto in coda è disposto a tutto.
Ma vien fuori anche l’altro, l’“immagine e somiglianza” che l’atto della creazione ha scolpito nel cuore di ciascuno. E sono così le migliaia di bergamaschi che rispondono alla richiesta di quindici imbianchini per l’ospedale da campo che stanno costruendo gli Alpini, sono le decine di opere di solidarietà che distribuiscono cibo nelle periferie abbandonate, sono i carrelli “spesa sospesa” – eredi del meraviglioso “caffè sospeso” che sta al cuore di Napoli – che fuori dai supermercati si riempiono sempre più.
L’emergenza tira fuori il fondo di noi, buono o cattivo che sia. L’emergenza non fa sconti a nessuno. E tutti siamo costretti a tirar fuori quel che, in fondo, tien su la nostra vita.