L’esplosione della guerra in Medio Oriente ha gettato nel caos le università, finite al centro di un dibattito continuo e incessante oltre che spesso contraddittorio. Di recente Claudine Gay, presidentessa di Harvard, si è dimessa dopo che è stata tacciata di incapacità in quanto in un’audizione al Congresso non ha risposto alla domanda se inneggiare al genocidio degli ebrei violasse il codice dell’Università. In Italia anche non mancano le polemiche: alle università, in particolare, è stato chiesto di interrompere le collaborazioni con Israele. Sulle pagine de La Stampa, Giovanni Orsina scrive: “Nella loro prima incarnazione gli atenei sono il luogo più avanzato di produzione di cultura e scienza oltre che di formazione e selezione di una classe dirigente”.



Al tempo stesso però “sono uno dei luoghi privilegiati, se non il luogo privilegiato, nel quale i cittadini e in particolare le future élite, vengono moralizzati così che la società aperta possa funzionare. Se è vero che quella società ha molto a che vedere con la libertà individuale, infatti, è vero pure che una comunità di individui liberi può funzionare unicamente se i suoi membri sono in grado di auto-limitarsi”. Secondo l’intellettuale, nella società odierna due fenomeni stanno rendendo insostenibile la tensione tra le due concezioni di università. Il primo è che la nostra civiltà è diventata un coacervo di valori divergenti, di idee diverse e incompatibili l’una con l’altra. Il secondo è il sovraccarico di moralità che caratterizza la nostra epoca.



Giovanni Orsini: “Le università potrebbero tornare ad essere luogo neutrale”

Le università oggi sono chiamate a svolgere una funzione moralizzante. “Gli atenei si fanno portabandiera del me too, della lotta al razzismo sistemico, reclamano contrizione per i guasti del colonialismo, ci tengono a mostrarsi eterogenee e inclusive, boicottano Russia e Israele. Ma quanto più svolgono questa funzione, tanto meno potranno svolgere l’altra: essere un luogo di dibattito illimitato in cui si possa esagerare nel pensare e possa esser tenuto in vita un dialogo intellettuale globale che in tempo di guerra servirebbe più, non meno che in tempo di pace” scrive su La Stampa Orsina.



Questo sgretolarsi del mondo universitario, secondo il politologo non può essere contrastato lavorando dentro gli atenei ma le università dovrebbero fare qualcosa per difendersi. Secondo Orsina “potrebbero cominciare a chiedersi se tocchi davvero a loro, e fino a che punto, farsi veicolo di moralità. Non è scritto da nessuna parte che siano nate per questo, in definitiva. Potrebbero rinunciare almeno in parte a questo compito e tornare a essere un luogo naturale e pluralistico che di per sé rifiuta di schierarsi nelle guerre culturali del nostro tempo”, fornendo però uno spazio libero nel quale confrontarsi.