In piena pandemia il Governo Conte-2 varò i decreti Liquidità e Cura Italia con cui furono introdotte le garanzie statali al servizio dell’erogazione di prestiti al sistema delle imprese. L’obiettivo del bazooka, così lo definì l’ex ministro Gualtieri, è stato meritorio. Ha consentito, infatti, alle imprese di far fronte alla carenza di liquidità indotta dal lockdown generalizzato protrattosi per lunghi periodi e nei fatti ancora valido per alcuni settori, turismo e intrattenimento, che non sono mai ripartiti.
La Banca d’Italia sin da subito ha monitorato presso il sistema delle banche lo stato di attuazione delle misure governative introdotte dai decreti legge Cura Italia e Liquidità. Sulla base di dati preliminari, riferiti al 3 dicembre dello scorso anno, sono ancora attive moratorie su prestiti per un valore complessivo di circa 56 miliardi, pari a circa il 21% di tutte le moratorie accordate da marzo 2020 (circa 270 miliardi). Secondo i dati a disposizione, si stima che sono circa 500 mila i soggetti, tra famiglie e imprese, interessati da queste misure.
Era noto da subito che gli interventi introdotti dal Governo Conte-2 erano a termine anche perché nessuno si aspettava che la pandemia dopo due anni fosse ancora viva. Oggi siamo prossimi alla scadenza delle misure legislative e senza interventi di proroga ci saranno effetti che non possono essere trascurati. La pandemia non è finita e siamo davanti a nuove versioni dei lockdown regolati dalla diversa combinazione possibile tra le diverse versioni dei green pass (base o rafforzato) e i diversi colori che caratterizzano la stato sanitario delle Regioni. Nello scenario che si sta delineando si pone il tema di verificare quale sia il destino delle imprese di fronte alla possibile cessazione degli effetti di queste misure. È innegabile che in questi due anni di pandemia il sistema delle imprese e del lavoro autonomo è stato messo sotto pressione e i diversi bonus erogati hanno avuto un effetto limitato sul sistema delle imprese e maggiore sul debito.
L’effetto positivo delle garanzie statali si è riversato anche sulle banche che le hanno usate anche per presidiare crediti inizialmente non garantiti consentendo loro di tutelarsi di fronte a uno shock improvviso che dura ancora oggi dopo due anni. In base alle attuali rilevazioni, la fine delle moratorie e la mancata previsione di strumenti alternativi di supporto alle imprese, che non riusciranno a riprendere i pagamenti, rischia di determinare un potenziale impatto negativo di 10 miliardi per le casse dello Stato. L’allarme è stato lanciato da più parti sottolineando le difficoltà delle imprese a provvedere effettivamente al rimborso delle rate a partire da fine gennaio.
Queste considerazioni rendono auspicabile l’introduzione di provvedimenti per supportare le imprese con maggiore difficoltà. Sin qui l’attenzione al tema, seppur limitato, c’è stata. Sono stati introdotti provvedimenti volti a favorire le rinegoziazioni ed è prevista l’introduzione della garanzia Sace a condizioni di mercato. Altrettanto positiva potrebbe essere una nuova proroga delle moratorie già anticipata da provvedimenti di ripresa dei pagamenti limitati alla sola quota interessi. Quest’ultimo provvedimento ha avuto un effetto positivo duplice. Da un lato, ha consentito di rinviare i rimborsi dando così respiro alle aziende e, dall’altro, ha evitato, attraverso un parziale rimborso, di incorrere nelle regole bancarie che avrebbero richiesto di considerare i crediti come deteriorati andando ad alimentare una nuova quota di Npl destinata ad appesantire i bilanci annuali degli istituti di credito in approvazione.
Da più parti, a seguito della diffusione della variante Omicron, si è invocata una nuova versione del decreto sostegni che potrebbe contenere provvedimenti volti a fronteggiare la fine degli effetti dei decreti Liquidità e Cura Italia. Il default delle aziende avrebbe, infatti, effetti pesanti sulle casse statali, sui bilanci delle banche e su quelli delle aziende a diverso titolo coinvolte nei default. Il nuovo istituto della composizione negoziata della crisi di impresa da sola non è la soluzione. Occorre intervenire in maniera più organica. La possibilità di cedere i crediti nascenti dai bonus edilizi ha favorito non poco taluni settori. Ne hanno beneficiato le aziende del settore edilizio, ma anche gli intermediari finanziari impegnati nell’anticipazione dei crediti maturati dai diversi attori che stanno partecipando alla divisione della torta dei bonus edilizi.
La soluzione passa inevitabilmente per una rivisitazione del sistema dei bonus rimasti ancora in vigore. Affidare un recupero di troppa generosità al solo intervento, spesso scomposto, dell’Agenzia delle Entrate non è la strada. Va evitato che l’arma del bazooka si trasformi in un boomerang per il sistema economico.
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