Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, la ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell’Olocausto. La mente torna agli orrori nazisti, a soprusi e angherie delle truppe di Hitler, alla violenza inumana dei nazifascisti. Ma anche ai gesti eroici, alle storie a lieto fine, ai colpi di genio per evitare il peggio. E’ il caso del morbo di K, la malattia inventata nel 1943 dal primario del Fatebenefratelli Giovanni Borromeo insieme all’allora studente Adriano Ossicini per salvare alcuni ebrei italiani dalle persecuzioni nazifasciste a Roma.
L’ottobre del 1943 è stato uno dei periodi più violenti dell’occupazione nazista. Ma ad un certo punto una malattia sconosciuta e contagiosa iniziò a circolare nel centro di Roma: il morbo di K, anche conosciuto come sindrome di K. Un vero e proprio incubo per gli occupanti tedeschi, tanto da costringerli a lasciare perdere la razzia del ghetto. Unico particolare, si trattò di una patologia inesistente.
Il morbo di K che salvò gli ebrei
Nel pieno della Seconda guerra mondiale, l’esercito nazista fece irruzione nel ghetto di Roma per un rastrellamento mirato degli ebrei grazie ai nominativi forniti dal ministro dell’interno del governo Mussolini. In tutto furono sequestrate 1.024 persone, di cui 200 bambini: tutti deportati nel lager di Auschwitz. Di fronte a questa situazione, Vittorio Sacerdoti e Giovanni Borromeo decisero di mettere a punto un piano per nascondere il maggior numero possibile di ebrei prima dell’avvneto della Gestapo. I medici iniziarono a ricoverare i fuggitivi per il pericolosissimo – ma inventato – morbo di K. La lettera K era dedicata a Kesserling, il generale nazista incaricato di mantenere il controllo dell’Italia occupata e difenderla dalle truppe Alleate, spiega Focus. Una spiegazione non nota ai tedeschi, che scambiato la K per la malattia di Koch, ovvero la tubercolosi. Attraverso questo stratagemma, furono salvate almeno 45 persone.