L’11 aprile è stata celebrata la Giornata Mondiale del Parkinson, una delle malattie neurodegenerative più diffuse, che sembra anche destinata a propagarsi sempre più a macchia d’olio. Addirittura il Journal of Parkinson’s Disease ha previsto che per il 2040 saranno 12 milioni le persone affette da questo morbo. La medicina però sta facendo al contempo passi da gigante, tanto che sembrerebbe essere stato scoperto un metodo con cui anticipare la malattia, scoprendola già prima che inizino a manifestarsi i primi sintomi. Già questo costituirebbe un elemento importante ai fini della cura. Ad oggi non mancano farmaci efficaci contro il Parkinson, ma in realtà non ne permettono la guarigione, rallentandone solo lo sviluppo. Questa malattia è infatti ancora considerata incurabile.
Il morbo va ad insinuarsi gradatamente nel sistema nervoso colpendo i tessuti muscolari. E tutto sta nel riuscire a bloccare la proteina infettante che scatena la patologia, ovvero l’a-sinucleina . La nuova tecnica riuscirebbe ad identificare l’accumulo di depositi proteici anomali legati al morbo di Parkinson, aiutando in questo modo nella diagnosi precoce, e svolgendo un ruolo chiave nella diagnosi clinica e nella caratterizzazione della malattia.
Quali benefici potrà apportare la ricerca finanziata da Michael J. Fox sul Parkinson
Tra i personaggi noti colpiti dal morbo di Parkinson troviamo Ozzy Osbourne, Lars Von Trier e Michael J. Fox. E proprio quest’ultimo è tra i finanziatori dell’ultima innovativa ricerca pubblicata su The Lancet Neurology. La patologia solitamente si manifesta con i primi tremori. Ma in quel momento il morbo si è già insediato e proseguirà il suo percorso degenerativo. Scoprirlo invece in anticipo potrebbe permettere di bloccare sul nascere la malattia. La tecnica (αSyn-SAA) di recente scoperta «amplifica» quantità molto piccole di aggregati mal ripiegati di α-sinucleina ed è in grado di rilevare con precisione le persone affette da questa malattia neurodegenerativa. Ma non solo.
Sarebbe anche capace di identificare gli individui a rischio e quelli con sintomi precoci molto prima della diagnosi. Questo è quanto ha spiegato Luis Concha, co-autore dello studio e direttore della ricerca e sviluppo di Amprion (USA). I risultati della ricerca sono risultati attendibili all’80% e necessiteranno di ulteriori perfezionamenti. Questa scoperta però lascia intendere che è stata imboccata la giusta strada nella lotta al Parkinson.