La grande domanda sulla bocca di tutti, dal presidente americano Joe Biden ai membri del G7, è “sapere da dove sia arrivato il virus Sars-CoV-2 e se sia stato preparato in laboratorio (quello cinese di Wuhan) o sia di origine naturale, cioè animale”. Questo, sgombrando il campo da ogni polemica politica, ci ha detto il professor Gianguglielmo Zehender, docente di Igiene generale all’Università Statale di Milano, “è importante saperlo perché ne abbiamo diritto tutti”. Ma il punto principale, ci ha detto ancora, “è la preparazione nei confronti delle pandemie, perché ce ne saranno sempre e ci siamo fatti trovare impreparati. Questo non deve accadere più”.



Ci sono molte ipotesi sulla possibile fuga del virus dal laboratorio, e altrettante sull’origine naturale. Al momento per quale delle due teorie propende?

Non vorrei discutere né dell’una né dell’altra. In mancanza di prove relative al fatto che sia stato fabbricato in laboratorio, è evidente che resta come prova più probabile quella che sia uno spillover (salto di specie, ndr) dall’animale.



Però anche questa ipotesi farebbe acqua perché non si è ancora individuato l’animale in cui il virus dei pipistrelli si sarebbe modificato in modo da infettare poi l’uomo, mancherebbe cioè l’ospite intermedio, non crede?

È vero. Le difficoltà sono ben più di una. Chi studia i virus negli animali sa bene che sono studi molto complicati e complessi, che richiedono tempi lunghi. Non dimentichiamo che questo virus lo abbiamo visto per la prima volta da poco più di un anno. Per riuscire a trovare il serbatoio e l’ospite intermedio della Sars credo ci abbiano messo una decina di anni e forse anche di più. Ci sono virus per i quali ancora oggi non abbiamo informazioni a proposito dell’ospite intermedio, come il virus Ebola. Ci sono alcuni sospetti su alcuni tipi di pipistrello, ma la prova provata non ce l’abbiamo.



Quindi al momento nessuna delle due teorie ha una validità, è questo che intende dire?

È un compito gravoso e difficile che spetta ai virologi e ai biologi. Non è facile arrivare a una conclusione in tempi rapidi. Gli animali sono tanti, non è detto che i virus si comportino nello stesso modo come nell’ospite, causando patologie. Anzi nei serbatoi non causano patologie, sono animali che stanno benissimo. Se si riesce a trovare il virus, succede per caso o perché si è andati a cercarlo in certi contesti.

Come il coronavirus nei pipistrelli?

Sì, lo hanno cercato, ma ne hanno trovato una sessantina di tipi diversi che infettano i pipistrelli, tra cui quello più simile al Sars-CoV-2 umano è il RaTG13 di un pipistrello che è stato isolato nel 2013.

Si può dire che il Sars-CoV-2 ha una capacità di adattamento maggiore rispetto ad altri coronavirus?

Direi di no, sicuramente è intelligente dal punto di vista evolutivo. Teniamo però conto che oggi stiamo vedendo l’adattamento di un virus all’ospite umano in tempo reale, cosa che forse non è mai capitata. Anche perché oggi abbiamo strumenti, in particolare la genomica, che ci consentono di andare a studiare la quantità di sequenze genetiche, qualcosa che non abbiamo mai avuto per nessun virus in precedenza.

Si tratta di uno studio in tempo reale?

Sì. Abbiamo visto i primi virus, relativamente poco adattati e con una certa capacità infettiva, che sono stati surclassati in tempi rapidi da altre varianti. Ricordiamo quella che ci siamo ritrovati proprio in casa nostra e che ha sostituito il virus cinese precedente, che era una evoluzione di quel primo virus meno adattato in qualcosa di molto più trasmissibile. La cosa si sta ripetendo con le varianti inglesi e indiana. È un virus che ha una notevole capacità di migliorarsi e la stiamo studiando.

E questo vale anche per i vaccini? Siamo stati obbligati a farne uso senza uno studio approfondito come in precedenza?

No, non penso sia così. La corsa c’è stata, ma ci ha consentito di avere dei vaccini approvati per un uso emergenziale dalle organizzazioni internazionali in pochi mesi, mentre prima ci volevano anni. Parliamoci chiaro: quando mai abbiamo avuto dei vaccini in tempi così brevi?

Però AstraZeneca lascia perplessi.

Sicuramente. Resta comunque il fatto che un vaccino applicato a milioni di persone in pochissimo tempo permette di veder emergere tutti i possibili problemi in tempi rapidi e questo può essere impressionante dal punto di vista emotivo, però alla fine le complicanze sono rare. Questo non toglie che, sapendo che ci sono delle controindicazioni, vada limitato l’uso di quel farmaco sulla base di regole decise in modo chiaro, così da sapere chi è a rischio di avere reazioni avverse e quindi cercare di evitare che queste persone vengano esposte a quel farmaco.

È giusto, secondo lei, come è stato fatto, chiedere una nuova indagine all’Oms o visto l’atteggiamento della Cina è solo una perdita di tempo?

No, non è tempo perso, perché avere le idee chiare su una questione del genere può essere utile in futuro, ma anche perché tutti noi abbiamo il diritto di sapere cosa è successo. Purché si sgombri il campo da ogni questione politica, che non aiuta per niente la ricerca scientifica. Seconda cosa fondamentale è non dimenticare quale deve essere l’obiettivo principale.

Secondo lei?

La preparazione nei confronti delle pandemie. Qui un difetto c’è stato ed è stato ricordato da scienziati di tutto il mondo. Bisogna studiare bene quello che è successo, quello che è stato fatto di buono, ma anche di male, ad esempio la lentezza con cui si è arrivati  a reagire anche quando si avevano le informazioni. Tutto ciò è importante per evitare che la prossima pandemia produca gli stessi risultati mortali, indipendentemente da dove potrà arrivare. I virus, purtroppo, ci saranno sempre.

(Paolo Vites) 

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