LA VERSIONE DI LUIGI ZANDA SUL MISTERO DEL CASO MORO

Luigi Enrico Zanda Loy lo scorso 28 novembre ha compiuto 80 anni tondi tondi e per l’occasione si è concesso in una lunga intervista su “La Repubblica” dove ha rivelato alcuni dettagli che potrebbero condurre a inquietanti novità sul sempiterno e mai risolto “Caso Moro, il rapimento e l’uccisione del politico DC nel 1978 da parte delle Brigate Rosse. Inizia tutto con una domanda che suona come un “memento” di quei terribili attimi che videro il fu giovane Zanda (figlio del capo della polizia negli anni Settanta), da portavoce del Ministero dell’Interno Francesco Cossiga; «Di quei 55 giorni il primo ricordo è la prima lettera di Moro a Cossiga: doveva restare segreta, invece le Br la resero pubblica. Lì capii che sarebbe stata dura salvarlo: non volevano trattare».



Amico stretto di Aldo Moro, Cossiga fu nella Democrazia Cristiana quello maggiormente sotto pressione per il suo ruolo (responsabile del Viminale) e per i suoi rapporti di profonda amicizia con il presidente rapito dalle Brigate Rosse: la linea intransigente non la condivise mai, ma dovette in qualche modo arrendersi. «Era la sua ossessione. Gli vennero i capelli bianchi, la vitiligine alle mani. Quando entrai nella sua stanza la mattina de rapimento, il 16 marzo 1978, mi disse: “Luigi, sono politicamente morto”», rivela Zanda sempre a “La Repubblica”. Secondo lo storico esponente Pd, il caso Moro non ebbe però “solo” dei riferimenti nazionali, bensì occorre guardare all’estero per capire meglio cosa realmente avvenne in quei terribili 55 giorni (e in generale per l’intera stagione del terrorismo rosso/nero in Italia): «C’è un filo che lega l’attentato a Berlinguer a Sofia nel 1973, l’uccisione di Moro e l’attentato al Papa da parte di Ali Agca. Quella del Kgb è una scuola che produce i suoi effetti nefasti anche ora, come vediamo drammaticamente in Ucraina e non solo».



“ALDO MORO, COSSIGA E VIA GRADOLI”: IL RACCONTO DI LUIGI ZANDA

Secondo Luigi Zanda, le Brigate Rosse che riuscirono a rapire e poi uccidere il presidente Aldo Moro furono in qualche modo “eterodirette” dall’estero (fronte KGB?), o quantomeno per il momento un giudizio univoco non si può darlo: «Non ci saprà mai davvero tutta la verità finché non saranno accessibili gli archivi delle grandi potenze: i tasselli che mancano non sono in Italia», denuncia lo storico portavoce di Cossiga, dall’animo repubblicano e dall’esperienza politica in tarda età tra i responsabili del Partito Democratico. Zanda venne a sapere in quei giorni del rapimento Moro del nome “Gradoli” ma pensò, come molti con lui, che il riferimento fosse al Paese e non alla via dove potesse trovarsi Aldo Moro.



«Fu Umberto Cavina, il segretario di Benigno Zaccagnini a dirmi di Gradoli, un paese sulla Cassia. Presi l’appunto su un suo biglietto da visita che trovai sul suo tavolo e tornato al Viminale informai il capo della polizia», spiega ancora il fresco 80enne Luigi Zanda. I terroristi invece stavano in via Gradoli e quell’errore incredibile potrebbe alla fine essere costato la vita al Presidente Dc: «poteva essere salvato? Non possiamo dirlo. Ma l’informazione riguardava il paese di Gradoli. Per fortuna misi quell’appunto in cassaforte. Conservavo ogni cosa sotto chiave».