Un lungo studio sui tassi di mortalità della prima ondata di Covid-19 in Italia sono stati presentati e pubblicati sulla rivista Scientific Reports da un gruppo di ricevitori italiani in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa), la Pennsylvania State University (Usa) e l’Université Laval (Quebec City, Canada). Il gruppo di tecnici ha cominciato a raccogliere informazioni e dati fin dai primi momenti dell’emergenza pandemica giunta in Italia, monitorando i dati epidemiologici rilasciati dal Governo italiano, provando ad associarli a quelli sulla mobilità delle persone (forniti da Google) e a dati pubblicamente accessibili su una serie di fattori socio-economici, infrastrutturali e ambientali.



I risultati vengono presentati oggi sull’Adnkronos da alcuni degli studiosi sviluppatori della tecnica “Functional Data Analysis”, per provare a capire come a livello regionale si siano comportate le curve epidemiologiche (e le conseguenze) durante la prima ondata rappresentata da lockdown totale dell’intero Paese fino ad inizio maggio 2020. «Purtroppo la qualità dei dati disponibili alla comunità scientifica – denuncia Francesca Chiaromonte, docente di statistica alla Scuola Superiore Sant’Anna e alla Penn State, nel presentare i dati dello studio – «è molto inferiore rispetto a quella che sarebbe necessaria per condurre analisi in grado di orientare con chiarezza le politiche di contrasto alla pandemia. Questo era vero nella prima metà del 2020 e, anche se qualche passo in avanti è stato compiuto, rimane vero anche oggi». Il vero problema però non è che i dati non esistano, sottolinea Chiaromonte, visto che i dati esistono eccome, «ma mancano meccanismi e piattaforme che li rendano disponibili in maniera sistematica, integrata e affidabile alle ricercatrici e ai ricercatori che li vorrebbero studiare».



MORTALITÀ PRIMA ONDATA, I PRIMI RISULTATI

Per la ricercatrice Marzia Cremona (assistant professor in Data Science all’Université Laval), il lavoro sviluppato sulla prima ondata da Covid-19 ha analizzato «epidemie eterogenee e sfalsate in aree differenti dell’Italia, ricapitolando e quantificando quello che policy makers, scienziati e cittadini hanno visto accadere tra febbraio e aprile 2020». Ebbene, nei risultati emerge una traiettoria “epidemica estrema, esponenziale”, in Lombardia e nelle regioni più colpite del Nord Italia mentre si trova una traiettoria più moderata, ‘appiattita’, nel resto del Paese. In questa seconda curva troviamo però anche il Veneto che, pure avendo avuto i primi casi in contemporanea con la Lombardia, ha adottato un approccio di test molto più aggressivo «che è stata subito implementata». Lo studio apparso sulla “Scientific Reports” ha infine documentato una forte associazione e legame tra la mortalità, la mobilità dei cittadini e i tassi di positività: «Queste associazioni persistono quando vengono utilizzati modelli che controllino per altri fattori. Quindi i nostri risultati, insieme a quelli di altri studi in Italia e nel mondo, supportano la tesi secondo la quale la mobilità ha un ruolo fondamentale nel modulare le curve epidemiche, e il tasso di positività può essere utilizzato per monitorare l’andamento della pandemia», spiega Tobia Boschi, laureato magistrale in Ingegneria Matematica al Politecnico di Milano e ora dottorando in Statistica alla Penn State. Da ultimo, i risultati emersi suggeriscono un ruolo importante per fattori come l’assistenza primaria distribuita – che mitiga e non poco la mortalità – o la dimensione di potenziali hub di contagio (come ospedali, scuole e luoghi di lavoro) che invece possono aggravare l’epidemia. Conclude Lorenzo Testa (studente della Laurea Magistrale in Data Science e Business Informatics all’Università di Pisa), «Di certo questi risultati necessitano di conferme da dati a più alta risoluzione, ma nel corso dell’ultimo anno si è accumulata evidenza da diversi studi, e questa potrebbe informare scelte di policy, ad esempio suggerendo investimenti di breve e medio periodo per incrementare l’assistenza primaria decentralizzata, o strategie per ridurre il numero di studenti, pazienti e lavoratori nello stesso ambiente».

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