L’Istat ha pubblicato il suo ultimo report sulla mortalità sul territorio italiano, riferito ai dati raccolti dal Sistema Sanitario Nazionale nel corso del 2023 che si è appena concluso. Sorprendentemente (ma forse neanche tanto) i decessi in Italia sono tornati lo scorso anno ai livelli pre Covid, confermando la tendenza che si era registrata nel corso degli anni tra il 2015 e il 2019, oltre che con una diminuzione di circa 59mila casi rispetto al 2022.



Il dato sulla mortalità diffuso dall’Istat parla, infatti, di 654.242 decessi nel 2023, di poco superiori ai 644.515 registrati prima dello scoppio della pandemia da Covid, ovvero nel 2019. Negli ultimi tre anni il dato era stato sempre superiore ai 700mila casi (746mila nel picco pandemico del 2020, 709mila nel 2021 e 713mila nel 2022), mentre la media tra il 2015 e il 2019 era stata di circa 646mila decessi (il picco nel 2017 con 659mila morti e il numero più basso nel 2016, quando furono 627mila). Un dato, quello sulla mortalità, sicuramente incoraggiante, anche se statisticamente ci si attendeva uno scenario del genere, e che per certi versi preoccupa anche. Infatti, seppur i decessi siano stati analoghi a quelli per Covid, si sono registrati anche 9mila casi in più che, riferisce l’Istat, riferiscono nella quasi totalità al Sud Italia, mentre le regioni del Centro e del Nord hanno avuto risultati simili a quelli del 2019.



Rezza: “La mortalità nel Sud Italia è preoccupante”

Il report sulla mortalità dell’Istat è stato al centro di una riflessione fatta dall’epidemiologo Gianni Rezza, oggi docente al San Raffaele di Milano, nonché direttore del Servizio prevenzione del Ministero della Salute durante la pandemia, sulle pagine del Messaggero. Il professore conferma che i dati dell’Istat non sorprendono gli addetti ai lavori, soprattutto in virtù del Covid che, spiega, “ha anticipato i decessi della fascia di popolazione più vulnerabile e anziana”.

La mortalità, insomma, secondo Rezza dopo le pandemie normalmente torna a diminuire significativamente “negli anni successivi”, ma dal conto suo si aspettava “una diminuzione più rilevante”. Importante, tuttavia, secondo il professore è il dato relativo al Sud Italia, che dimostrerebbe come “la risposta del sistema sanitario fatica maggiormente a ripartire” e rischia “di diventare un problema demografico: la natalità non è alta, abbiamo una migrazione verso il Nord e vediamo una maggiore mortalità” e complessivamente, secondo Rezza, “si rischia lo spopolamento“.