Il Daily Mail, a quindici anni dalla morte di Michael Jackson, ha redatto un drammatico racconto di quelle che sono state le ultime ore di vita del cantante e ballerino, che si trovava a Los Angeles quando si è spento a causa di un arresto cardiaco provocato da un elevato uso dell’anestetico propofol, di cui innumerevoli confezioni furono trovate nascoste nella sua abitazione insieme ad altri antidolorifici. Per quanto accaduto venne condannato per omicidio colposo a quattro anni di reclusione il suo medico, Conrad Murray.
Nel mese di giugno del 2009, Michael Jackson avrebbe dovuto iniziare il suo tour di concerti in Inghilterra e ormai da diverse settimane stava facendo le prove in California con il coreografo Travis Payne e il direttore di palco Kenny Ortega. Inizialmente sembrava stare bene, ma col passare dei giorni iniziò a chiedere all’amica e infermiera Cherilyn Lee di somministrargli il propofol affinché lo aiutasse a dormire. In base ai racconti pare che il cantante definisse quella sostanza come il suo “latte”, ovvero “tutto ciò di cui aveva bisogno”. La dottoressa era preoccupata, ma l’artista non sembrava temere ripercussioni: “È sicuro finché qualcuno è qui a monitorarmi e svegliarmi”. È proprio per questo che, in vista degli spettacoli, la società promotrice AEG Live assunse per assisterlo costantemente il dottor Conrad Murray, che precedentemente era stato anche il medico personale della figlia Paris Jackson.
Gli ultimi giorni prima della morte di Michael Jackson: mostrava “segni di paranoia, ansia e comportamento ossessivo-compulsivo”
Col passare dei giorni le condizioni di Michael Jackson iniziarono a peggiorare e durante le prove fu evidente che non stesse bene, tanto che dimagriva sempre di più e non ricordava i testi delle canzoni. Il cantante si assentò dal palcoscenico per una settimana per concedersi un po’ di riposo, ma anche al ritorno era tremolante e incerto. Kenny Ortega inviò allora a Randy Phillips, CEO di AEG Live, un’e-mail preoccupante in cui descriveva l’artista come un “ragazzo perduto”, che mostrava “segni di paranoia, ansia e comportamento ossessivo-compulsivo”. Inoltre, manifestava l’intenzione di annullare il tour, ma aveva paura che ciò potesse ulteriormente compromettere la situazione. È così che, anche su rassicurazione del dottor Conrad Murray, si andò avanti. Il medico dovette anche convincere i promotori degli eventi a non annullare il contratto con l’assicurazione.
Il 21 giugno tuttavia Michael Jackson iniziò ad avere le prime reazioni gravi al propofol, tanto che Cherilyn Lee ordinò di sospendere l’assunzione e di portare l’amico in ospedale, ma ciò non avvenne. Dopo due giorni senza il farmaco, sembrava che la situazione fosse migliorata, tanto che l’artista tornò sul palco per le prove e ballò Thriller, al rientro a casa poi si concesse per qualche minuto ai fans che erano lì davanti. La notte del 25 giugno, tuttavia, fu l’ultima della sua vita: il cantante non riusciva a dormire e il dottor Conrad Murray gli iniziò a somministrare diversi milligrammi di sedativi alla volta. “Basta, fammi dormire. Non importa cosa succede”, avrebbe detto secondo la sua ricostruzione. Il mattino successivo verrà trovato morto prima dal medico e poi dalla guardia del corpo Alberto Alvarer: era sdraiato sulla schiena, con le braccia tese e gli occhi e la bocca spalancati. I tentativi di rianimarlo durarono ore, anche da parte dei paramedici, con varie tecniche, incluso l’uso di una pompa infilata con la forza nelle sue arterie e nel suo cuore, ma furono inutili.