Ci sono criteri precisi per definire un decesso per Covid e sono indicati nel rapporto che viene usato per la compilazione dei certificati di morte. Lo chiarisce l’Istituto superiore di sanità (Iss), spiegando che in primis il paziente deceduto deve risultare positivo al coronavirus. Questa però non è l’unica condizione sufficiente. Deve aver avuto un quadro clinico e strumentale suggestivo di Covid, ma soprattutto deve essere assente una chiara causa di morte differente dal Covid. Inoltre, non deve esserci tra la malattia e il decesso un recupero clinico completo. Per intenderci, se si è affetti da Covid ma ci si riprende del tutto e poi si muore, non si è inseriti tra i deceduti per Covid, in quanto evidentemente la causa della morte non è attribuibile alla malattia. Si tratta di un chiarimento importante considerando le polemiche degli ultimi mesi, in cui molti hanno insinuato che nel conteggio dei morti finiscono anche persone che sarebbero morte per altri motivi non riconducibili al Covid. Per questo l’Iss fa un esempio molto chiaro nel suo comunicato, quello cioè di un paziente positivo colto da infarto. Deve rispecchiare i criteri sopracitati per essere considerato morto per Covid, se la malattia non ha nulla a che fare con l’infarto, evidentemente non va inserito nel conteggio generale.



ISS E DECESSI COVID: LE MALATTIE PRE-ESISTENTI

Tuttavia, l’Istituto superiore di sanità precisa che non vanno considerate come chiare cause di morte diverse da Covid le malattie pre-esistenti, perché «possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione». L’Iss fa l’esempio di cancro, malattie cardiovascolari, renali ed epatiche, demenza, diabete e patologie psichiatriche. Quindi, complicazioni ed esiti collegate a patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo in un paziente che ha quadro compatibile al Covid vanno considerate cause di morte associate a Covid. Anche in questo caso l’Iss fa un esempio, in questo caso quello di infarto in paziente cardiopatico con polmonite Covid. L’infarto rappresenta in questo caso una complicanza, pertanto il decesso va classificato come dovuto a Covid. Se il quadro non è compatibile con la malattia, il decesso non va classificato come legato a tale condizione. L’Istituto guidato da Silvio Brusaferro risponde anche a chi ritiene che i dati sui decessi siano sovrastimati, spiegando che anzi probabilmente sono stati sottostimati nei mesi di marzo e aprile.



L’ECCESSO DI MORTALITÀ PER COVID

A tal proposito, l’Istituto superiore di sanità ricorda che nella prima fase dell’emergenza molte persone decedute non erano state testate, quindi non sono finiti nel Sistema di Sorveglianza. Infatti, la stima realizzata da Iss e Istat sull’eccesso di mortalità a marzo e aprile di decessi legati direttamente o indirettamente al Covid sono circa il doppio rispetto a quelli finiti nel Sistema di Sorveglianza. «Questa sottostima dei decessi si è comunque molta ridotta e quasi azzerata da maggio fino a fine estate», si legge nel comunicato. Ma recentemente si sta registrando un nuovo aumento dei decessi, per il quale ci sarà un nuovo studio. L’analisi Iss-Istat condotta sui deceduti del periodo marzo-maggio ha permesso di stabilire comunque che nell’89% dei casi il Covid è la causa direttamente responsabile di morte, quindi circa 9 deceduti su 10. Una aggiornata è invece ancora in corso. Va precisato che l’Iss segue le indicazioni di ECDC e OMS per identificare i decessi associati a Covid, quindi si tratta di un meccanismo uniforme.



DECESSI COVID: LA QUESTIONE LETALITÀ

Discorso diverso per la letalità, cioè la proporzione di deceduti tra malati di una malattia, in quanto i Paesi possono usare strategie di test diverse, così come può variare il profilo dei pazienti, aspetto che peraltro spiegherebbe alcune differenze. L’Italia, ad esempio, è uno dei Paesi con indice di vecchiaia più alto. Ma variano da Paese a Pese anche le tempistiche con cui vengono segnalati i decessi. Per misurare l’impatto del Covid sui decessi bisogna calcolare l’eccesso di mortalità, che tiene conto anche di quei casi che possono essere andati “persi” o indirettamente collegati. A tal proposito, un rapporto OCSE ha analizzato ciò in un periodo di 10 settimane da marzo. È emerso che in Spagna c’è stato un eccesso di mortalità del 61% rispetto a quelli registrati in media nello stesso periodo nei 5 anni precedenti. Nel Regno Unito è del 56%, in Germania, Danimarca e Norvegia solo del 5% in un periodo di 10 settimane. Mentre sull’Italia interessante è l’analisi dell’Iss.