Calano i nuovi contagi, il tasso di positività si stabilizza al ribasso, l’indice Rt è sotto 1, scendono le ospedalizzazioni, si riducono i ricoveri in terapia intensiva. Eppure i decessi restano sempre molto alti: 349, secondo gli ultimi dati diffusi ieri sulla pandemia.

Ma il numero giornaliero di morti è ingannevole: come proprio sul Sussidiario ha spiegato l’epidemiologo Cesare Cislaghi, “I morti di Covid sono soggetti cui è stato diagnosticato il contagio diversi giorni prima, mediamente tre settimane. E quindi se si vuol stimare la percentuale di decessi bisogna utilizzare la frequenza dei positivi di tre settimane prima. Non ha senso confrontare il numero di contagi con il numero dei decessi come se fossero eventi confrontabili perché avvenuti in contemporanea”. Non solo: l’illusionismo statistico che tende a sovrapporre due numeri (contagi e decessi) cronologicamente non contemporanei, tende a confondere e a spaventare l’opinione pubblica. Davanti a questi numeri, infatti, in tanti si domandano: “Ma come è possibile che ci siano ancora così tanti decessi nonostante in Italia il tasso di vaccinazione, che garantisce una difesa migliore contro i sintomi più gravi della malattia, sia al 90%, cioè tra i più alti al mondo, e nonostante tutti – infettivologi, virologi, clinici – sostengano ai quattro venti che la variante Omicron, pur molto contagiosa, si stia rivelando assai meno patogena della Delta? In estrema sintesi: una malattia che è clinicamente poco più che un raffreddore può ammazzare 400 persone al giorno?



Il dubbio è più che legittimo, ma è dall’inizio della pandemia, dalla primavera del 2020, che la mortalità del Covid in Italia permane, ancora oggi, un mistero. Come vengono conteggiati i morti? E il loro numero quanto è “gonfiato”? In Italia si muore più “per” Covid o “di” Covid? Rispondere è difficile. Scienziati, esperti e statistici sono da tempo al lavoro per cercare di risolvere il giallo, di trovare le chiavi giuste.



Dal 26 gennaio hanno a disposizione una traccia, un indizio in più. L’Istituto superiore di sanità ha infatti pubblicato il Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-CoV-2 in Italia. È una fotografia che copre il periodo inizio epidemia-10 gennaio 2022, quando sono stati comunicati con i bollettini quotidiani del ministero della Salute 138.099 decessi.

Partiamo proprio dai numeri. Dovessimo tracciare l’identikit del deceduto per Covid, dovremmo parlare di soggetto per lo più maschile, over 80, affetto in media da quattro patologie croniche e ricoverato in ospedale. Più in dettaglio, dei 138.099 decessi Covid registrati fino al 10 gennaio, per il 56,4% sono uomini, solo 1.743 sono sotto i 50 anni (1,3%), di cui 37 sotto i 19 anni. Tra i 50 e i 69 anni sono 19.511 (14,1%); sopra i 70 anni 116.840 (84,6%), di cui 55.338 tra gli 80 e gli 89 anni, e 26.722 over 90. Il 23,8% risulta essere finito in un reparto di terapia intensiva, il 58,5% (ma tra gli over 80 la percentuale sale al 71,1%) è stato ricoverato in ospedale ma non in rianimazione e il 17,7% non era ricoverato in corsia.



Quanto alle patologie, l’Iss ha analizzato un campione di 8.428 cartelle cliniche provenienti dagli ospedali di tutta Italia. Che cosa ne emerge? I deceduti che avevano il Covid, senza altre patologie, sono solo il 2,9%, quelli con una patologia l’11,3%, con due patologie pregresse il 17,9% e con tre o più patologie addirittura il 67,8%. Cioè 97 su cento non avevano solo la polmonite bilaterale interstiziale.

L’Iss ha indagato anche sui decessi tra non vaccinati e vaccinati (con ciclo incompleto o completo, ma non ha contemplato le dosi booster). Cosa ha scoperto? Su un campione di 1.642 cartelle cliniche, raccolte tra febbraio 2021 e il 10 gennaio 2022, il 3% dei non vaccinati è morto senza avere altre patologie contro lo 0,6% dei vaccinati con ciclo completo; con una patologia il 10,2% dei non vaccinati contro il 6,2% dei vaccinati; con due patologie il 17% dei non vaccinati contro il 9,5% dei vaccinati, con 3 o più patologie il 69% dei non vaccinati contro l’83,7% dei vaccinati con ciclo completo. Dunque, se le morti fra i deceduti vaccinati si concentrano sui pazienti affetti da tre o più patologie pregresse, dai dati Iss emerge anche che l’età media dei decessi fra i non vaccinati è di 78,6 anni rispetto agli 84,7 nei vaccinati. Sei anni in meno.

Ma il vero nodo, ancora da sciogliere, è un altro. L’Iss, seguendo le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, per arrivare a definire un decesso per Covid-19 deve riscontare quattro condizioni: il paziente è risultato positivo al tampone Covid al momento della morte; il paziente presenta un quadro clinico e strumentale compatibile con i sintomi tipici del Sars-Cov-2 (dalla febbre alla dispnea, dalla tosse alla perdita acuta di olfatto o gusto, dal mal di gola alla polmonite…); il paziente non è guarito dal Covid (assenza di periodo di recupero clinico); il paziente non presenta una chiara causa di morte diversa dall’infezione (il soggetto è conteggiato anche se ha una patologia pregressa, sia essa oncologica, cardiovascolare, renale, epatica, oppure ha il diabete).

In pratica, chi viene ricoverato, trovato positivo, e muore in seguito alle conseguenze di un incidente stradale non viene conteggiato fra i morti Covid. Ma negli altri casi, quanto e come le patologie preesistenti possono aver favorito un decorso negativo dell’infezione? Quanto e come il Covid può risultare determinante per il decesso? Solo rispondendo a queste domande, sarà possibile risolvere il giallo della mortalità in Italia.

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