Ci sono musicisti che, nel bene e nel male, segnano la storia. Eddie Van Halen è stato sicuramente uno di questi. Benché il gruppo che prendeva il nome da lui e dal fratello batterista, i Van Halen, siano stati considerati dai puristi del rock, dei “buzzurri”, degli esagitati, dei casinari, in realtà, grazie soprattutto a Eddie, chitarrista e leader del gruppo, erano musicisti straordinari. Il loro rock è simbolo degli anni 80, appunto una decade di esagerazione, droga facile e belle ragazze, il cosiddetto “hair rock” dove capigliature impossibili, cotonate li distinguevano nel look. Senza di loro ad esempio  non ci sarebbero stati gruppi come i Bon Jovi e i Guns n’ Roses.



Ma Eddie, scomparso ieri dopo una malattia durata ben cinque anni che lo costringeva a volare dalla sua California in Germania per seguire cure specialistiche particolari e dopo che nelle ultime settimane si era sottoposto a un ennesimo ciclo di chemio, purtroppo ha ceduto all’età di 65 anni. Il tumore si era diffuso al cervello e ad altri organi vitali, l’intestino era stato colpito dai molti farmaci che prendeva.



Il figlio Wolfe ha comunicato la scomparsa: “Non riesco a credere a quello che mi trovo a dover scrivere ma mio padre Edward Lodewijk Van Halen, ha perso la sua lunga e difficile battaglia contro il cancro. Era il miglior padre che potessi desiderare. Ogni istante che ho condiviso con lui sul palco e nella vita è stato un dono del cielo. Ho il cuore spezzato e penso che non mi riprenderò mai completamente da questa perdita. Ti amo troppo, Papi”.

Se tutti ricordano i Van Halen per il mega successo degli anni 80, la scanzonata e irresistibile Jump (dove Eddie invece della chitarra inventò un memorabile riff al sintetizzatore), anche grazie alla voce del frontman David Lee Roth, devono adesso ricordarlo per essere stato uno dei più grandi innovatori dello stile chitarristico, caratterizzato dal cosiddetto tapping a due mani. Come scrive Barbara Caserta, massima conoscitrice dell’hard rock in tutte le sue forme, fu una invenzione talmente originale che a inizio carriera suonava con le spalle al pubblico per non farsi copiare. Poi l’avrebbero copiato tutti. “C’era anche quell’uso sapiente degli armonici artificiali e della distorsione… un innovatore che costruiva da sé le sue chitarre customizzate (iconica la Frankenstrat) e anche i suoi amplificatori, da lui potenziati sovraccaricando le valvole e spesso bruciati senza pietà in nome del rock’n’roll col “brownsound” e col volume rigorosamente a tuono” dice ancora Barbara Caserta.



“La band venne proiettata nel firmamento delle stelle del Rock direttamente con l’album d’esordio del 1978, un classico imprescindibile dell’hard rock. Prodotto da Ted Templeman, e registrato in sole tre settimane con un budget di 40.000 dollari, è diventato una pietra miliare da oltre 10 milioni di copie vendute nei soli USA, certificato col Disco di Diamante. Nel 1994, Guitarist Magazine l’ha classificato come il 2º album dalle chitarre più influenti di tutti i tempi (al 1° posto Jimi Hendrix). I Van Halen, tra i più conosciuti e apprezzati nel rock duro, hanno inciso 12 album da studio e 2 live vendendo a livello globale oltre 60 milioni di dischi” ricorda la giornalista e fotografa che ha immortalato i più grandi esponenti di quel genere musicale e anche intervistato Eddie nel 1995.

Nato in Olanda a Nijmegen il 26 Gennaio 1955, da una famiglia di musicisti, il padre pagò il viaggio di trasferimento della famiglia dall’Olanda agli USA suonando sulla nave, per dire in che condizioni umili, ma artistiche era nato e cresciuto. Nonostante fosse un “mostro” della chitarra (tutti quelli che sono veuti dopo di lui hanno imparato suonare grazie al suo stile) la sua modestia era tutto: “Non so un c***o di scale o di teoria musicale, non voglio essere considerato come la chitarra più veloce, pronto a far fuori la concorrenza. Ciò che so è che la chitarra rock&roll, come nel blues, dovrebbe essere melodia… ma la cosa davvero fondamentale è che dovrebbe emozionare. Io? Voglio solo suonare la mia chitarra per far sentire qualcosa alle persone: felicità, tristezza, eccitazione”. Pochi lo sanno, ma la chitarra che si sente nel successo di Michael Jackson, Beat it, era la sua, tanto amava suonare senza pregiudizi.

Di lui adesso, oltre agli immortali riff di chitarra, rimane quel sorriso smagliante che lo aveva sempre caratterizzato, segno di una gioia e di una passione nel suonare che esplodeva nelle sue magiche note di chitarra.