Corrono i primi anni novanta del secolo scorso. Il maestoso coro che nel duomo di Ratisbona accompagna l’imponente malinconia della musica di Bach nei giorni della Passione di Matteo ha appena finito di estasiare il crocifisso che campeggia nella navata centrale quando, dalla luce soffusa delle vetrate gotiche, l’asciutta figura di Georg Ratzinger appare compunta e insoddisfatta. Lo sguardo fermo e deciso dell’anziano direttore del coro è tormentato dalla ricerca del sublime mentre altri tormenti, negli stessi tempi, affliggono il fratello minore Joseph nella lontana Roma, alle prese con le crescenti deviazioni della fede che raccontano un’incapacità sempre più conclamata delle parole della dottrina a smuovere i cuori.
Georg e Joseph sono cresciuti insieme all’ombra di una cetra che il padre suonava loro spesso, quasi a ricordare ai due fratelli che ciò che non è capace di movere non può ambire neppure a docere. E se per Joseph, il teologo, questo ha sempre significato la ricerca di una fede semplice da raccontare a coloro che si sarebbero avventurati nel nuovo millennio, per Georg, il musicista, l’insidia si nasconde proprio nel terzo polo della triade ciceroniana: quel delectare che è il rischio della musica sacra contemporanea e che lui ha stigmatizzato spesso come il destino di ogni “moderna” canzone, cercando al contrario nell’inquietudine profonda di Mozart e di Bach la vera chiave del proprio ministero.
Suonare non per piacere, ma suonare per ridestare: all’inizio sembrava quasi impossibile arrogarsi un tale compito in un tempo così incline al sentimentalismo, eppure anche negli anni più bui – quelli da soldato coscritto della Wehrmacht, “liberato” dagli alleati e incarcerato a Napoli – le note dell’organo, imparato a maneggiare fin dagli undici anni, avevano composto nella mente di Georg uno spartito solido da cui costantemente ripartire per guardare avanti, alla Misericordia di quel Dio da cui costantemente si sentiva amato e cercato.
Era stata questa sua fermezza nella fede, questo brillio degli occhi, a spingere il dotto fratello Joseph sulla sua stessa strada e a condurli insieme al sacerdozio nel medesimo giorno in un lontano pomeriggio del giugno del 1951. La domanda di Georg, la sua perenne insoddisfazione e malinconia, diventava così per Joseph l’approdo sicuro di ogni certezza razionalmente conquistata, al punto che per il teologo bavarese il Logos non si poteva qualificare come un astratto ragionamento formale, ma era necessariamente una Persona, il Verbo di Dio. Nel Verbo il divino e l’umano, la certezza e la domanda, il Cielo e la Terra, s’intrecciano senza mai confondersi né mai distinguersi: la grandezza del Dio cristiano sta proprio nel fatto che Egli non ha bisogno di spegnere il desiderio per poter regnare, ma – al contrario – Egli viene nel mondo affinché il desiderio divampi.
Di questo i fratelli Ratzinger amavano parlare nei loro frequentissimi incontri e per questo, per un pensiero così vero e fresco, il giovane teologo fu dapprima tra gli accompagnatori del suo vescovo al Concilio Vaticano II, poi egli stesso arcivescovo di Monaco e cardinale prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede.
Frattanto il fratello musicista cresceva nella sua ricerca del Bello al di là di tutte le cose belle e diventava direttore dei Regensburger Domspatzen, i “Passeri del Duomo di Ratisbona”, il coro di giovani che guidò con passione e intelligenza dal 1964 al 1994. Aprendo i loro cuori all’amore di Dio come i fratelli cappadoci Basilio e Gregorio nel IV secolo, i Ratzinger divennero il luogo dove visibilmente il peccato di Caino era riscattato dalla Grazia di una custodia reciproca che si declinava in viaggi, dialoghi, preghiera, incontri. Fino a quell’aprile del 2005, quando Georg rimase profondamente turbato nel sentire il nome del suo fragile compagno di vita insignito del titolo di Benedetto: arrabbiato, per sua stessa ammissione un po’ depresso, accettò la nuova realtà e non smise di portare nel cuore il fratello più giovane, teologo diventato papa.
E non fu un caso se proprio a Ratisbona Joseph tenne uno dei suoi discorsi più decisivi: come era vero che il Logos non era una misera astrazione, era altrettanto vero che Dio aveva posto il Logos come argine alla sua azione per cui si poteva dire – senza tema di smentita – che ciò che era contro il Logos, come la violenza, era contro Dio. Uno degli apici della cultura occidentale era raggiunto e narrato nel luogo caro di famiglia, dove ancora la musica di Georg poteva proteggere le parole di Benedetto.
La rinuncia del 2013 e la malattia di Georg segnarono il resto: sempre meno uniti visibilmente, i due fratelli parvero invece rafforzati e uniti in una comunione che non è quella delle cose sensibili, ma è un dono di Dio, l’immagine trinitaria di un destino scritto per tutti.
Alla luce di questo si legge e si capisce l’ultima profezia: il vecchio papa emerito che percepisce il fratello lasciare il palcoscenico del mondo e si precipita, violando gli stessi protocolli che egli aveva stabilito per la figura inedita dell’emerito, verso l’amata Germania, sulla strada di casa, per congedarsi da lui. È l’ultimo viaggio, l’ultimo incontro, il Mistero che si compie: il piccolo Joseph da protetto diventa protettore, da custodito diventa custode e accompagna il fratello alle soglie del Cielo col sigillo di Pietro. Pochi giorni dopo il rientro a Roma di Benedetto, Georg si spegne con la generosità di chi va a preparare un posto per entrambi, con la passione di chi ha compiuto, nell’inquietudine della Bellezza, tutta la strada che separa ogni uomo dall’Amore. Forse convinto di essere sempre stato “l’altro”, il fratello di quello famoso e importante, ma senza rendersi conto che la sua musica era capace di ridestare le stelle. E più d’uno, ancora oggi, sono disposti ad ammettere che alla fine di quel concerto della Passione di Matteo in quel giorno di inizio anni novanta, non solo il pubblico, ma anche il grande crocifisso della navata centrale, si sia lasciato andare ad una segreta lacrima di gratitudine. Quella che accompagna tutti i grandi che, con la loro umanità, rendono più umana la terra e accompagnano tutti, anche i Papi, sul sentiero che cambia il mondo e, inevitabilmente, spalanca le porte del Paradiso.