La mostra dal titolo “Siamo in Cima! La vetta del K2 e i volti di un popolo”, che quest’anno verrà presentata in modo virtuale al Meeting di Rimini, racconta l’impresa del 2014 quando l’alpinista Michele Cucchi e l’alpinista coordinatore Agostino Da Polenza hanno aiutato una spedizione pakistana a raggiungere la cima del K2. È stata la prima volta che è successa una cosa simile nella storia del K2, perché nelle diverse spedizioni straniere per raggiungere la vetta i pakistani sono sempre stati portatori o assunti con altre funzioni. La mostra racconta con foto e video questa impresa, fa vedere la bellezza di quei meravigliosi paesaggi e la meraviglia provata dai protagonisti.
Ma in questa impresa vi è un’altra grande impresa ed è il riscatto di un popolo. Cucchi e Da Polenza non si sono limitati a fare imprese sportive, hanno incontrato un popolo, ne hanno condiviso i bisogni, hanno aiutato una ad una quelle persone a ritrovare il fascino della vita che la montagna trasmette e i legami di amicizia con cui affrontare quelle condizioni non sempre facili.
Questa mostra ha una lunga storia. All’origine vi è il rapporto con Michele Cucchi, guida alpina di Alagna, detto il Lungo, un rapporto che nasce ad Abbiategrasso quando Michele era studente delle medie e io alle prime esperienze di insegnamento. Allora Michele era un ragazzino vivace e particolarmente attivo con un grande amore per la montagna, io un insegnante che seguiva assieme ad altri adulti un gruppo di ragazzi delle medie con cui facevamo delle rappresentazioni teatrali. Una di queste, in cui lui recitò da protagonista, fu Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Quel rapporto tra un insegnante e un ragazzino nel tempo è diventato un rapporto di grande amicizia in cui ho avuto più io da imparare da lui. Michele ha mantenuto un rapporto con le sue amiche e i suoi amici di quel periodo della scuola media, anche se, con la famiglia, aveva lasciato Abbiategrasso per Alagna.
Nel 2014 Michele è andato in cima al K2 e ad Abbiategrasso la notizia è rimbalzata subito, tutti ne siamo rimasti colpiti e commossi. Il sogno che aveva fin da ragazzino si era realizzato. Io l’ho invitato allora nella mia scuola a raccontare della sua impresa e nel rivederlo ho avuto un contraccolpo: quel ragazzino, prima ancora di essere uno sportivo che aveva fatto un’impresa, era diventato un uomo. Rivederlo così per me è stato meraviglioso, una sorpresa che mi ha fatto sobbalzare il cuore. Lui ha raccontato ai miei studenti e studentesse ogni momento di quell’affascinante avventura, ha fatto vedere il filmato di Sky con tante immagini di una bellezza straordinaria e durante il suo racconto è emersa tutta la sua umanità, una grande sensibilità verso la bellezza della montagna, la consapevolezza della sproporzione tra la piccolezza dell’uomo e la maestosa imponenza delle vette, una capacità di rapporto con l’altro, forte e consolidata, tanto da darsi all’altro.
Michele non è un uomo che fa della riuscita dell’impresa lo scopo di tutto e che punta a stare davanti; anzi, è proprio l’opposto. Ha a cuore gli altri fino a servirli. Questo faceva capire le ragioni di quella spedizione pakistana alla quale gli italiani si erano dedicati e anche il fatto che lui non avesse intenzione di andare in cima: il suo scopo era quello di aiutare gli scalatori pakistani ad arrivare alla vetta. Questa sua umanità mi ha molto colpito.
Ancor di più mi è rimasta impressa l’ultima scena di quell’incontro a scuola, quando ai ragazzi Michele ha detto: “se avete un sogno, anche se lo ritenete impossibile, coltivatelo, dategli tempo ed energie, riprendetelo continuamente. Io quando ero ragazzino avevo un sogno: sono andato in montagna, ho fatto tanti sacrifici, mesi su alla Capanna Margherita, così passo dopo passo sono andato in cima al K2”. Gli studenti erano rapiti dalle sue parole e lì ho colto quanto sia decisivo per la vita fare un cammino perseguendo uno scopo presentito, un cammino umano, in cui il traguardo raggiunto sia il nostro io divenuto più grande.
L’idea di fare una mostra al Meeting è nata in noi dall’aver incontrato nuovamente Michele. Tutti dovevano conoscere il suo percorso; anche la sua impresa del 2014, ovviamente, ma ancor più l’itinerario della sua profonda maturazione. Tutti dovevano sapere che quando si ha un desiderio bisogna prenderlo sul serio, coltivarlo, dargli tutto perché questa è la strada per diventare più uomini.
Così Michele ci ha fatto conoscere Agostino Da Polenza e ci siamo messi al lavoro per realizzare la mostra per il Meeting. Era il 2016 e per arrivare in cima ci abbiamo messo quattro anni: sono stati anni affascinanti, un cammino entusiasmante in cui passo dopo passo abbiamo incontrato amici nuovi, come quelli di Varese, così importanti per la realizzazione della mostra. È stato un cammino in cui abbiamo scoperto un aspetto fondamentale: quando ci si lascia prendere dalla bellezza si diventa amici. Il frutto più bello di questo lavoro è stata l’amicizia che abbiamo visto crescere e che ci ha coinvolti a scoprire il fascino del reale.
Dentro questo lavoro ci è diventata famigliare l’impresa che Michele e Agostino hanno compiuto, abbiamo pian piano imparato quello di cui essi hanno fatto esperienza, la loro umanità ci ha conquistato, la loro dedizione agli altri è diventata nostra. Ci è diventato chiaro che in ciò che hanno fatto vi è dentro un metodo di vita che vale per tutti.
Qui, direi, sta il fascino di questa mostra: vi sono uomini che guardano, vivono e raccontano la bellezza delle montagne più alte del mondo. Da quello che dicono e dal modo in cui guardano si può imparare molto per la propria vita.