Si riaccendono i riflettori sul caso del mostro di Firenze, uno dei misteri più inquietanti della storia criminale italiana. Adesso, nel dettaglio, arrivano novità rispetto al proiettile rinvenuto nell’orto di Pietro Pacciani e che non fu mai incamerato nella Beretta calibro 22 usata dal mostro di Firenze. A renderlo noto è una perizia del Ris che Il Giornale ha avuto modo di visionare e depositata negli atti di cui i parenti delle vittime hanno finalmente avuto accesso. Oltre a non risultare incompatibile la scalfitura del proiettile con quella della pistola, potrebbe essere stata generata da “un utensile non meglio specificato, estraneo all’estrattore di un arma da fuoco”.



La perizia è stata realizzata da Paride Minervini il quale già nel 2019 aveva ipotizzato che il proiettile, unica prova contro Pacciani, fosse stato costruito in laboratorio, dunque contraffatta. Qualcuno provò ad incastrare Pacciani? Ovviamente di tempo ne è passato così tanto che sarebbe ormai impossibile accertare le responsabilità, motivo per il quale il pm ha chiesto l’archiviazione del fascicolo. Il dubbio, a distanza di tanti anni, è ora che una delle più lunghe inchieste giudiziarie italiane possa essere stata condizionata da un grosso depistaggio che ha contribuito a mandare in cella una lunga serie di possibile innocenti, da Pacciani ai suoi compagni di merenda, Mario Vanni e Giancarlo Lotti.



Mostro di Firenze, qualcuno provò a incastrare Pacciani? Le novità sul giallo

Alla luce delle ultime novità emerse, Il Giornale si domanda chi possa eventualmente aver messo in atto il depistaggio, non solo perché tre duplici delitti sono rimasti irrisolti ma perché è sempre più verosimile che nessuna delle vittime possa aver realmente avuto giustizia. Secondo il documentarista Paolo Cochi, consulente dei parenti di alcune vittime del mostro di Firenze, tra le carte del procedimento Pacciani potrebbe nascondersi il nome del vero serial killer. Ad oggi tre sarebbero secondo il quotidiano gli elementi da non sottovalutare: il Dna rimasto su tre lettere inviate ad altrettanti magistrati nel 1985, un uomo visto da alcuni testimoni e descritto come castano-rossiccio, alto un metro e 80 e visto proprio prima degli omicidi di Claudio Stefanacci e Pia Rontini del 1984.



Ci sarebbe poi un dossier dei Carabinieri sul furto di cinque Beretta calibro 22 in una armeria nel 1965. La pistola mai trovata delle cinque portava ad un uomo che avrebbe lavorato negli ambienti giudiziari e che si portava dietro denunce per reati contro la libertà sessuale, truffa e resistenza. Secondo i Carabinieri sarebbe potuto essere lui il mostro di Firenze. Eppure non fu mai messo tra i sospettati. Adesso, con la possibilità concessa dal gip Romeo di far accedere i familiari delle vittime agli atti dei processi, vi è il sentore che la verità sul mistero del vero mostro di Firenze possa avvicinarsi sempre di più.