Mostro di Firenze, un appellativo che evoca interrogativi irrisolti nel tessuto di una vicenda ancora oggi in gran parte avvolta da silenzi e misteri. Abbiamo intervistato Paolo Cochi, reporter, documentarista e consulente di parte per un parente di una delle vittime del 1981, l’anno in cui l’assassino seriale più sanguinario della nostra storia uccise ben due volte, a giugno e ottobre, con altrettanti duplici omicidi di coppiette in amore.
E lo fece, secondo l’avvocato Nino Filastò che a lungo difese Mario Vanni (uno dei “compagni di merende” di Pietro Pacciani insieme a Giancarlo Lotti), per scagionare chi era finito in carcere ingiustamente con l’accusa di essere l’autore di quei crimini e, forse, per “sfidare” ancora una volta gli investigatori.
Nei decenni trascorsi dai quei tragici fatti, diverse piste si sono articolate intorno alla possibile identità del serial killer e gli sviluppi giudiziari che ne scaturirono non sfociarono in una verità processuale esaustiva e capace di “coprire” tutti i delitti. Ad oggi, infatti, ben 3 duplici omicidi restano insoluti. Paolo Cochi porta avanti una tesi che vedrebbe il vero Mostro di Firenze soltanto “lambito” dalle indagini e rimasto a piede libero, fino alla morte, all’ombra del clamore intorno alle sentenze a carico di Pacciani, Vanni e Lotti e di tutte le altre ipotesi alternative percorse in ambito “mostrologico”.
Un uomo la cui presenza e i cui tratti somatici ricorrerebbero in diverse testimonianze relative ad alcune scene del crimine compresa l’ultima, quella del 1985 a Scopeti, e persino nel racconto di una delle vittime prima di essere uccisa. Si tratterebbe di una pista trascurata in cui potrebbe innervarsi una verità storica mai svelata.
Paolo Cochi, lei è consulente di un familiare di una vittima di uno dei delitti del Mostro di Firenze non coperti dal giudicato, di fatto quindi senza un colpevole. Ritiene che la serie di omicidi non sia iniziata nel 1974 ma nel 1968, con l’uccisione degli amanti Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Un crimine per cui fu condannato il marito della donna, Stefano Mele. Cosa la porta a ritenere che l’assassino abbia iniziato ad agire proprio allora?
È certo che l’arma e le munizioni sono gli stessi. Ci sono tanti fattori che coincidono: la scelta del luogo e delle vittime, una zona appartata e una coppia in intimità, il periodo estivo e l’arma non ritrovata. Impossibile escluderlo dalla serie del Mostro.
Per quanto attiene alla complessità delle azioni omicidiarie (in particolare all’intervento delle escissioni che resero la condotta del Mostro un unicum), ritiene che sia opera di un solo assassino seriale o di più soggetti?
La letteratura criminale ci dice questo, ed anche le scene del crimine, tutte esattamente uguali come le escissioni praticate sulle vittime. Tre tagli netti partendo da ore 11. Potrebbero aver partecipato altri individui come “copertura” del territorio, ad esempio dei guardoni.
Al netto di come si è chiusa la vicenda processuale – dalla controversa posizione di Pietro Pacciani morto dopo la condanna in primo grado e l’assoluzione in secondo, nelle more di un nuovo appello disposto dalla Cassazione, alle condanne definitive dei ‘compagni di merende’ Mario Vanni e Giancarlo Lotti – lei sostiene da anni che sia necessario approfondire il profilo di un sospettato mai indagato, il cosiddetto “uomo del Mugello”, sulla base di un’architettura indiziaria densa di elementi.
Assolutamente sì. Da 4 anni ci battiamo per approfondire la posizione di questo individuo sfiorato dalle indagini e con un quadro indiziario pesantissimo, ma la Procura di Firenze non ci ha mai permesso di confrontare Dna e reperti né di visionare documenti di indagine su di lui. Senza darci motivazioni e chiudendosi a riccio. A nostro avviso, c’è qualcosa di poco chiaro.
Come è arrivato a questo soggetto e perché si dice sia stato solo ‘sfiorato’ dall’inchiesta?
Ricordo che individuai un dossier dei carabinieri sul furto dell’arma (Beretta calibro 22, ndr) avvenuto in una armeria del Mugello avvenuto nel 1965 e mai ritrovata. L’indagine per quel fatto portò alla condanna per favoreggiamento del sospettato. Tanti testimoni videro una persona simile a quest’uomo in prossimità e nei giorni dei delitti del Mostro. Fu solo sfiorato dalle indagini in quanto la pista, appena accennata a livello investigativo, venne subito trascurata e definitivamente abbandonata senza ulteriori approfondimenti.
Secondo le informazioni in suo possesso, comprese registrazioni audio di alcune conversazioni, l’uomo del Mugello avrebbe avuto un impiego in ambiente giudiziario, addirittura in Procura, proprio in piena era Mostro…
Secondo quanto riferito dai parenti, lavorava con il procuratore che seguiva le indagini. E spesso avrebbe anticipato le mosse degli inquirenti.
In che senso?
Ad esempio, dopo la costituzione della Sam era stato istituito un protocollo segreto con finte auto civetta e il Mostro colpi per la prima volta una tenda… Poi la conoscenza di numeri e località di vacanza estive del magistrato Silvia Della Monica, e molti altri piccoli dettagli.
Alcuni lo definiscono “rosso del Mugello”, perché? C’è un identikit e ci sono diverse testimonianze di chi lo avrebbe visto in prossimità delle scene di alcuni delitti e la stessa vittima Susanna Cambi, prima di essere uccisa, avrebbe riferito in famiglia di essere seguita da qualcuno con tratti compatibili a tale sospettato. Perché non finì mai nella lista degli attenzionati ‘Sam’, la ‘Squadra anti-mostro’ istituita per cercare il responsabile di tutti quegli orrori?
Molti furono i testimoni, sia a Vicchio ma anche la “ragazza dell’autostop”, di Scarperia, una donna che riconobbe le fattezze in linea generale. Si tratta di una testimone importante: disse di aver avuto un passaggio da un uomo che le parlò del feticcio spedito al magistrato Della Monica, una rivelazione che le sarebbe stata fatta prima che la notizia uscisse sui media. Chiedemmo in Procura documentazione completa, ma tutt’oggi aspettiamo una risposta ed un assenso all’accesso agli atti che non arriva. Comunque il nome del sospettato non “arrivò” all’attenzione degli investigatori dott. Perugini e Giuttari.
Lei è riuscito ad arrivare alla macchina da scrivere appartenuta all’uomo del Mugello. Ci spiega come ha fatto a trovarla e cosa rappresenterebbe nella geometria del caso?
L’ho semplicemente acquistata attraverso un annuncio messo dal figlio su internet. Era del padre e la teneva in soffitta. Ho ovviamente tutto tracciato, sulla stessa vi sono delle analogie ed omografie, a detta della consulente di parte che l’ha esaminata, che lasciano pensare che sia la stessa macchina da scrivere usata dal Mostro nelle tre lettere di minaccia inviate ai tre magistrati che si occupavano del caso.
Fa riferimento alle tre lettere del 1985, attribuite al Mostro, che furono indirizzate ai magistrati Fleury, Canessa e Vigna. Vi è un Dna ricorrente e non appartenente a nessuno dei soggetti finiti sotto inchiesta e per questo, insieme all’avvocato Alessio Tranfa, lei ha chiesto alla Procura di Firenze di poter procedere ad accertamenti irripetibili per comparare quel materiale con il profilo dell’uomo del Mugello. Qual è l’esito della vostra istanza?
Nessuna risposta, solo una disponibilità verbale finora disattesa, sin dalla scorsa estate. Porte blindate. Bocche cucite.
Oltre all’analisi del Dna di quelle tre misteriose missive, avete chiesto di poter confrontare l’identikit dell’uomo del Mugello con le fotografie del soggetto in questione…
Abbiamo fatto fare e depositato una consulenza antropometrica dal photofit di Scopeti con il viso del sospettato. Una comparazione che ci ha dato esito positivo, ma servono foto degli anni ‘80 per avere certezze. Due persone dalle medesime caratteristiche furono avvistate proprio il giorno venerdì 6 settembre 1985 (a ridosso del duplice omicidio dei francesi Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, ndr) alle 17:30 – 18:30 nella zona, secondo alcune testimonianze messe a verbale da persone diverse.
Quali altre istanze avete proposto alla Procura di Firenze?
Una riguarda la richiesta delle registrazioni di due telefonate anonime ed inquietanti, molto probabilmente fatte dal Mostro. Con una perizia fonica si potrebbe giungere all‘autore. Una arrivò la notte del delitto del 1984 alla caserma di Borgo San Lorenzo, l’altra a casa del magistrato Silvia Della Monica (l’unico inquirente donna ad occuparsi della vicenda mostro, poi destinataria del reperto organico della povera Nadine Mauriot in una macabra lettera del 1985, ndr). Fatto che indusse il magistrato a chiedere maggiore protezione.
Recentemente, è tornata in auge la richiesta di revisione del processo a carico di Mario Vanni – il postino che fu condannato con Lotti (su chiamata in correità di quest’ultimo) per alcuni dei duplici omicidi del Mostro di Firenze – basata fondamentalmente su una consulenza entomologica che retrodaterebbe l’ultimo duplice omicidio, quello dei francesi avvenuto nel settembre 1985 a Scopeti, demolendo di fatto la ricostruzione del Lotti. Lei però è stato il primo, anni fa, ad avvalersi di una consulenza del genere tra l’altro con il coinvolgimento dello stesso esperto entomologo, Stefano Vanin, e arrivando alla medesima conclusione…
Esattamente, non solo Vanin, ma l ‘esperimento fu fatto da un team di medici legali ed entomologi ed il mio lavoro (libro e documentario) fu acquisito nel 2015 dal pm Canessa e valutato sia dal punto di vista investigativo sia giudiziario, oltre ad essere oggetto di trasmissioni tv e articoli di giornale. Inoltre già nel 2004 fu presentata e rigettata la medesima richiesta di revisione, fatta a Genova da Filastò e Marazzita con il consulente Introna. Insomma una pista già percorsa e fallita. Un inutile diversivo.
Come si spiegano le “pause” del Mostro, cioè i numerosi anni intercorsi tra alcuni dei duplici delitti seriali?
Non si possono spiegare se non si individua il soggetto o sospettato e si indaga su cosa faceva in quei periodi. Cosa che non ci è stata permessa. Tante cose sarebbero da appurare per arrivare ad una prova provata.
Il 24 febbraio scorso, l’avvocato Tranfa ha rinnovato istanza alla Procura per visionare ed estrarre copia dei fascicoli di interesse. Quali saranno i prossimi passi della vostra attività di consulenti, se non doveste ottenere quanto richiesto, per verificare la concreta sussistenza della pista dell’uomo del Mugello?
Useremo tutti i mezzi consentiti dalla legge, ivi compresa la richiesta al Csm. La Procura non può negarci gli atti all’infinito e poi, come riportato sui media, concederli ad una produzione tv per farci una serie sul Mostro.
A seguito dell’ultima sollecitazione dell’avvocato Alessio Tranfa, con cui Paolo Cochi collabora, la Procura fiorentina ha concesso l’autorizzazione “all’esito della digitalizzazione in corso”. Il team chiede però che si proceda velocemente, come lo stesso legale ha spiegato ai microfoni di Adnkronos: “La digitalizzazione non è di per sé un fatto impeditivo, non può essere ostacolo al diritto del difensore di acquisire copia degli atti dei procedimenti archiviati. Ho risposto chiedendo quantomeno, nel frattempo, quelli già digitalizzati per cui confido in una risposta in pochi giorni”.
(Giovanna Tedde)