La Francia può. La Commissione europea ha appena dato il via libera a un cospicuo aiuto di Stato, pari a 1,2 miliardi di euro, alla casa automobilistica Psa-Peugeot-Citroen. E, siccome, di norma, pratiche di questo tipo vengono sanzionate dalla medesima Commissione, si è escogitato un artificio: i soldi non vengono erogati direttamente all’azienda, ma a Banque Psa Finance, braccio finanziario di Psa. Insomma, cambia ben poco. Una sorta di partita di giro. L’organismo europeo, dopo aver imposto a Parigi di comunicare il provvedimento a Bruxelles, sembra aver chiuso un occhio. Il via libera pare temporaneo. Eppure, l’ha dato. L’unico freno, del tutto parziale, sembra essere rappresentato da una richiesta dell’Antitrust europeo di visionare le carte relative al piano industriale dell’azienda automobilistica. Sta di fatto che l’aiuto, volto in particolare a erogare finanziamenti a chi intende acquistare vetture del gruppo, rappresenta soltanto la prima tranche di un pacchetto che potrebbe ammontare addirittura a 7 miliardi. Abbiamo chiesto a Bernardo Bertoldi docente di creazione d’impresa alla Facoltà di Economia dell’Università di Torino, il significato dell’operazione.



Come giudica gli aiuti di Stato concessi dalla Francia a Peugeot?

L’intervento dello Stato francese va letto in un contesto più ampio. Se noi guardiamo a quel che succede nelle principali case automobilistiche europee, scopriamo che, in qualche misura, sono quasi tutte partecipate dallo Stato. La Francia è il primo azionista di Renault, con circa il 20%;  la stessa quota ce l’ha la Bassa Sassonia in Volkswagen, con poteri molto forti; in Mercedes sono presenti alcuni fondi nazionali nel capitale. Le uniche due aziende interamente private sono Bmw e Fiat.



Quindi?

Laddove il principale azionista è lo Stato, o quando lo Stato è uno degli attori maggiormente in grado di influenzare le decisioni dell’azienda, la priorità, evidentemente, consiste, anzitutto, nel mantenere l’occupazione. Il che, spesso, coincide con il mantenimento dello status quo. Questo, d’altro canto, è il contesto entro il quale va letta la crisi del mercato europeo. Un mercato decisamente diverso da quello americano, dove la priorità principale della aziende automobilistiche è quella di ottenere maggiori profitti.

Perché, in ogni caso, Peugeot ha bisogno di aiuti?



Perché è in crisi, come sono in crisi tutte le case europee che sono scese nei segmenti di categoria, mentre competitor come i coreani sono saliti di qualità, mantenendo prezzi molto scontati. Si tratta di concorrenti agguerriti che producono a costi competitivi e che le aziende europee non sono in grado di fronteggiare.

Qual era l’alternativa di Peugeot agli aiuti di Stato?

Nel primo semestre del 2012 si ipotizzò di tagliare i costi, sia dal punto di vista degli stabilimenti produttivi che da quello degli investimenti nei nuovi modellli. Probabilmente, l’azienda si è resa conto che non sarebbero riusciti a tagliare in tempi sufficientemente rapidi da bloccare l’emorragia di cassa.

L’Europa ci avrebbe consentito di fare altrettanto?

Ho la sensazione che non ce l’avrebbero concesso. La vicenda, d’altro canto, riflette come la continua denuncia del fatto che la Fiat sia sopravvissuta grazie allo Stato, è una fissazione italiana. La realtà dimostra come gli altri Paesi sostengono la propria industria dell’auto in maniera più convinta e sistematica di noi. Ci riescono in ragione di una forte volontà politica nazionale e di una certa capacità di lobbing nei confronti dell’Europa di cui, evidente, noi non disponiamo. 

 

(Paolo Nessi)