La notizia che la nuova società che nascerà dalla fusione tra Fiat Industrial e l’americana Cnh avrà sede legale in Olanda o in Inghilterra ha scatenato polemiche a non finire. Poco importa che sia ormai vecchia di alcuni mesi. È bastato riproporla, con qualche particolare in più, per aprire le cateratte dei soliti e ormai triti “daje a Marchionne”, “daje alla Fiat”. In pochi hanno inquadrato il problema e nessuno ha offerto soluzioni. Riassumiamo brevemente la situazione. Fiat Industrial, la parte del Lingotto che produce macchine agricole, per movimento terra e camion, entro pochi mesi si fonderà con la più piccola controllata Cnh. L’operazione ha un senso dal punto di vista industriale perché entrambe realizzano più o meno gli stessi prodotti. In un primo tempo era stata scelta come sede della nuova società l’Olanda. Nei giorni scorsi nel prospetto di quotazione alla Borsa di New York si ipotizzava la possibilità di stabilirla in Inghilterra, risparmiando un bel po’ in tasse. Non abbiamo detto alle Cayman o in qualche isola della Antille inserita nella lista dei Paradisi fiscali, ma in Inghilterra. È bastato questo per ritirare fuori la solita polemica: l’ingrata Fiat, che per decenni ha campato con i sussidi nazionali, abbandona l’Italia. E le tasse (per risparmiare) le pagherà a un altro Stato.
Sui sussidi abbiamo già scritto che tutta l’industria automobilista mondiale è sovvenzionata in tutto il mondo perchè crea posti di lavoro. Lo è in Germania, in Brasile, in Inghilterra, ovunque. Qualsiasi amministratore pubblico farà ponti d’oro a una azienda che investe portandosi dietro non sola la propria produzione, ma anche un indotto notevole. Fiat, poi, non lascerà l’Italia… per il semplice fatto che già non c’è più.
L’inizio della sua avventura americana con Chrysler e il suo successo, lo sviluppo delle attività “non auto” in giro per il mondo e, diciamocelo, la pochezza del mercato italiano in tutti i settori in cui opera hanno già inesorabilmente spostato il baricentro delle sue attività altrove. Volete un esempio? La nuova azienda che nascerà dopo la fusione tra Fiat Industrial e Cnh ha 73 stabilimenti fuori dall’Italia e 18 nel nostro Paese. Dove sia la sua sede ufficiale del Gruppo Fiat poco importa perché la sua visione e la sua organizzazione, grazie a Dio, oramai sono mondiali, multinazionali, globali. E questo dovrebbe render fieri gli italiani.
E qui arriviamo anche alla questione delle tasse. Sfrondando il campo dal solito equivoco: la cassa integrazione. Che riguarda i siti produttivi, dunque è indipendente dal luogo dove l’azienda decide di stabilire la sua sede principale. Se Fiat sposta dalla Polonia a Pomigliano la produzione della Panda, gli operai polacchi avranno gli ammortizzatori sociali previsti in quel Paese, E dunque: perché mai una multinazionale, un’azienda che opera a livello globale, che ha sedi ovunque nel mondo, dovrebbe scegliere di pagare le tasse proprio nel Paese in cui il carico fiscale è più oneroso? 



Che senso avrebbe, considerato che l’obiettivo di qualunque impresa è il guadagno, non sovvenzionare uno Stato? Certo, considerando che Fiat è nata in Italia, ci si aspetta che italiana lo rimanga. Ma italiana, ormai, Fiat non lo è più. 
Come tante altre aziende, magari non così celebri né così mastodontiche, oppressa da un sistema per troppi aspetti ormai insostenibile, ha preso il volo. E forse il dito accusatore, anziché a Torino, bisognerebbe puntarlo un po’ più a sud. Dove nessuno si è mai chiesto perché nessuna grande azienda multinazionale decide di venire a investire in Italia creando posti di lavoro. Dove le tasse sulle imprese sono quasi il doppio rispetto alla maggior parte degli Stati vicini. Dove anche le piccole e medie imprese spostano non solo la sede, ma anche produzioni e operai in Austria o in Svizzera. Chissà se la Fiom e il suo segretario Maurizio Landini si sono mai chiesti il perché.

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