Una catastrofe sotto ogni punto di vista, a cominciare da quello umano e ambientale, ma per non parlare di quello economico e commerciale, con l’industria dell’auto toccata eccome dalla catastrofe per molti big della produzione mondiale: Volkswagen ha annunciato che circa 2700 suoi veicoli sono bruciati, Renault invece conta le ferite di 1550 auto in fiamme, così come Toyota con le sue mille automobili perdute e Hyundai con le sue 4mila. Con l’esplosione nel porto di Tianjin che mercoledì scorso ha devastato uno dei centri più grandi della Cina, hanno perso la vita 114 persone e un altro centinaio è ancora disperso sotto le braci che ancora fumano dopo giorni. La serie impressionante di deflagrazioni scoppiate in serie hanno sconvolto il mondo che attonito guardava quei fumi che assomigliavano sinistramente ad una bomba atomica; ancora non del tutti chiariti i motivi del disastro, sembra comunque per un incendio di alcune depositi di sostanze chimiche pericolose di una fabbrica di logistica presente nel porto, la Tianjin Dongjiang Port Rui Hai International Logistic. A livello ambientale ancora bisogna calcolare gli effetti dello scoppio, con fumi di veleni chimici che non si sa al momento quando si siano espansi e quanto siano dannosi per la natura e le persone delle aree circostanti. Dal punto di vista commerciale, il settore che ha patito di più certamente la catastrofe cinese è il mercato dell’auto: le perdite materiali complessivamente ammontano a più di 8mila veicoli andati in fiamme tra tutte le marche di auto presenti in quel porto, uno degli snodi cruciali del mercato cinese. Basti pensare che a Tianjin transitano il 40% delle auto importate nel Paese, di cui 500mila solo nel 2014; se pensiamo poi che la Cina è il più grande mercato globale del settore auto, si possono comprendere i confini inquietanti della quesitone. Volkswagen ha rassicurato sul fatto che fino al ritorno alla piena funzionalità del porto, si servirà di quelli di Shanghai e Guangzhou per non interrompere la consegna dei veicoli di tutto il proprio gruppo, e così farà anche Bmw che con i suoi 2mila veicoli a settimana che transitano in Cina non può permettersi un blocco così duraturo nel tempo. Toyota ha dovuto chiudere le sue concessionarie sul luogo e ha sospeso al momento le consegne: per il più grande gruppo di auto che commercia in Cina, come del resto anche per tutte le altre Case, quest’esplosione oltre a recare danni fisici e materiali, provocherà danni nei prossimi mesi per il blocco delle vendite, con un mercato che inevitabilmente risentirà dell’inflessione di quanto successo. In più, con l’ordine delle autorità locali di evacuare l’intera zona, è impedito al momento anche il calcolo effettivo dei danni: la linea di produzione della Toyota sul posto, ovvero la Tianjin FAW Toyota Motor Co., ha dovuto chiudere non solo la fabbrica di Tianjin ma anche quella a circa 70 km di distanza, a Xiqing, perché senza le componenti necessarie che arrivano dal porto andato in fiamme rimane impossibile continuare la produzione.
Se si pensa che tutto questo poteva essere evitato con un controllo di sicurezza a norma e all’avanguardia, che merita un Paese leader in quasi tutti i mercati globali, la rabbia e le polemiche vanno al massimo. Ma non riporteranno indietro tutto quanto andato perduto, a cominciare da quel centinaio di persone morte in uno scoppio improvviso, malsano e inspiegabile.



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