Una storia già vista. Nel 2012 era toccato al produttore coreano dei marchi Kia e Hyundai. L’agenzia federale per la protezione dell’ambiente (Epa) aveva rilevato consumi superiori a quelli dichiarati dalla casa automobilistica e aveva comminato una multa di 350 milioni di dollari a cui si sono aggiunti altri 395 milioni di rimborsi per i danni provocati agli acquirenti. Poi qualche altro costruttore è passato per le forche caudine per questioni simili, anche se non così eclatanti, ed ora è la volta di Volkswagen che rischia di pagare moltissimo per aver manomesso le auto sottoposte ai controlli (vedere l’articolo di Franco Saro). Ma cose del genere possono accadere solo negli Stati Uniti perché l’Epa è un’agenzia federale indipendente che fa controlli in proprio, mentre in Europa le case automobilistiche pagano per farsi certificare e la maggior parte delle volte le misurazioni avvengono nei propri stabilimenti.
Una storia tutta europea, ma dal sapore italiano, in cui si mettono delle regole ferree, magari un po’ assurde o talebane e poi non si fa nulla perché vengano rispettate. Nel Vecchio continente, infatti, per quantificare consumi ed emissioni abbiamo il buon caro e vecchio Nedc, un sistema che è nato nel 1970 ed è stato aggiornato 25 anni fa. Il test non viene effettuato all’aperto, ma in laboratorio e con tutti i dispostivi accessori, come il condizionatore, le luci, il navigatore o il lunotto termico, rigorosamente spenti.
Su un banco a rulli viene simulata la resistenza dell’aria e l’auto a freddo esegue alcune sequenze di accelerazioni, marcia a velocità costante e frenate. Il tutto simulando un percorso perfettamente in piano e in completa assenza di vento. Basta questa descrizione del test per ritenerlo poco credibile. Se poi si considera che queste misurazioni vengono fatte nei laboratori delle case automobilistiche e da aziende specializzate che mandano le loro fatture ai costruttori, si capisce che il sistema fa acqua da tutte le parti. Sono, poi, noti i trucchi usati per ridurre consumi ed emissioni durante le misurazioni: si va da quello usato da Volkswagen del software che riconosce il test e si adegua per limitare i valori, alle ruote supergonfiate che riducono la resistenza al rotolamento e i consumi, all’uso di lubrificanti speciali.
L’ong Transport & Environment, una lobby ambientalista, ha pubblicato lo scorso anno uno studio in cui sostiene che i reali consumi di carburante delle automobili europee, e di conseguenza le loro emissioni di CO2, sono in media superiori del 31% a quelli dichiarati dalle case produttrici.
Detto questo e detto che alcun tipo di inganno ci può piacere, è necessario sottolineare che nessun settore al mondo subisce una pressione così forte sulle emissioni dei propri prodotti come quello automotive. Pur essendo responsabile di solo il 15% delle emissioni di CO2 nell’aria è chiamato a sottostare a normative sempre più stringenti in Europa e negli Usa che il più delle volte sembrano più frutto di accanimento che di reali esigenze di salute pubblica.
«Ogni grammo in meno nella media di CO2 emessa dalla gamma Volkswagen costa al gruppo 100 milioni di euro», ha dichiarato un anno fa l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen, Martin Winterkorn, mentre le regole stabilite dall’Ue prevedono che i costruttori di auto entro quest’anno abbiano una gamma con una media di 130 gramma di CO2 per chilometro e nel 2021 questo valore deve scendere a 95. Bastano questi due dati per capire la posta in gioco. E, forse, anche perché qualcuno bara.