I sogni non sempre muoiono all’alba. Quello di rivedere la rinascita del marchio Alfa Romeo è morto ieri alle quattro del pomeriggio, quando Sergio Marchionne ha annunciato ufficialmente quanto andava dicendo a spizzichi e bocconi da qualche mese. La revisione del business plan di Fca mette nero su bianco tagli di investimenti sulle nuove Maserati e soprattutto sui nuovi modelli del Biscione. A meno di sei mesi dalla presentazione in pompa magna della nuova Giulietta, o meglio di quello che sarà la nuova Giulietta, la poverina rischia di restare “figlia unica” per un mucchio di tempo.
Tra il 2016 e il 2018 secondo il vecchio piano, infatti, dovevano arrivare sul mercato due auto compatte, una media, un’ammiraglia, due Suv e un cabrio con il logo del Biscione. Con queste vetture in gamma l’obiettivo era vendere 400 mila auto nel 2018, rispetto alle 74 mila del 2013. Ora, invece, Fca spiega che non si vedrà nulla fino al 2018 e una gamma completa (si fa per dire) sarà disponibile solo nel 2020, più o meno quando si ipotizza il lancio delle prime vetture a guida automatica, o si pensa a un avvento di massa delle auto elettriche.
Nei prossimi cinque anni nel mondo dell’auto cambierà un po’ tutto, dai propulsori alle regole antinquinamento, dalla tecnologia di guida al modo di utilizzare i mezzi di trasporto privati. Ma Alfa Romeo non ci sarà. E forse neanche Fca che, buona ultima, ha presentato il suo primo veicolo ibrido meno di un mese fa e che per “coprire” il suo passo indietro su Alfa ha dovuto dare la colpa al rallentamento del mercato cinese, dove notoriamente il Lingotto non ha mai contato niente.
Nel giorno in cui fa ingoiare la pillola amara dell’ennesimo piano finito nel cestino, Fca ha presentato un bilancio 2015 con i fiocchi e alzato i target finanziari del 2018. Lo scorso anno, per dirla come il suo ceo Sergio Marchionne, «è stato un anno fenomenale» per il gruppo automobilistico italoamericano: i ricavi netti in euro sono cresciuti del 18% a 113,2 miliardi, inclusi, per l’ultima volta, quelli di Ferrari, l’utile operativo è salito del 40% a 5,3 miliardi di euro e l’utile netto è aumentato del 91% a 2 miliardi di euro.
Numeri figli di un buon andamento dei mercati tradizionali, ma soprattutto del dollaro forte. Dai mercati Nafta (Usa ,Canada e Messico) arriva il 65% dei ricavi del gruppo e il 90% degli utili, quindi la corsa del dollaro, cresciuta del 20% dal 2014 a oggi, ha dato una più che consistente mano all’anno fenomenale. Come l’ha data anche alla revisione dei target finanziari al 2018: ricavi a circa 136 miliardi, utile netto rettificato a 4,7-5,5 miliardi, Ebit rettificato a 8,7-9,8 miliardi, attivo di cassa tra 4 e 5 miliardi. Numeri in crescita sulla carta, ma meno di quanto si sarebbe potuto chiedere a Fca data la forza del dollaro.
Se diamo retta a Nomura, che vede la parità tra euro e dollaro a metà del 2016, e a quelli che ipotizzano un’ulteriore crescita negli anni a venire, Marchionne potrebbe centrar tutti gli obiettivi finanziari del 2018 senza fare nulla. Ed è quello che ha intenzione di fare.