Il bello arriva adesso. Dopo la fusione con Chrysler e lo scorporo di Ferrari, le mosse finanziarie a disposizione dell’amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne sono ridotte al lumicino. C’è ancora spazio per una vendita di Magneti Marelli, dei quotidiani e dei robot industriali, ma a parte l’azienda di componentistica, la Comau, che è un vero gioiellino con stabilimenti in tutto il mondo, non c’è più trippa per un gattone come Marchionne. Ora bisogna fare automobili e venderle. Mettere in atto la strategia industriale che ha già disegnato o cambiarla alla luce dei cambiamenti dei mercati internazionali. In ogni caso, deve arrivare entro un paio di anni vicino a quota 7 milioni di automobili immatricolate nel mondo che, come lui stesso ammette, farebbe sopravvive l’azienda in un settore maturo e competitivo come quello dell’automotive.
Ma quante probabilità ha di raggiungere questo obiettivo? Poche, e per molti motivi che proviamo a elencare. Primo: gli investimenti per fare concorrenza ai costruttori premium tedeschi con la nuova Alfa Romeo sono al di là della sua portata. Occorrerebbero troppi soldi e troppo tempo e il ritorno sull’investimento non è del tutto scontato. L’esperienza di Maserati che, dopo un exploit molto positivo, fatica a mantenere un trend di vendite importanti per mancanza di nuovi modelli è un segnale d’allarme significativo. Secondo: Fiat rimane sempre leader di vendite in Brasile, ma in un mercato che si sta sgonfiando a ritmi impressionanti (-30% sul 2014) e le mancate immatricolazioni in Sudamerica non solo pesano sui numeri finali dell’anno, ma si noteranno anche e soprattutto in termini di mancati margini di guadagno.
Terzo: la Cina è stata, è e sarà ancora per moltissimo tempo un universo proibito per il Lingotto. In quello che è il primo mercato del mondo con 17 milioni di immatricolazioni, i modesti obiettivi di vendita di Fiat (100 mila auto) non sono stati raggiunti e anche l’arrivo di Jeep è stato accolto bene dai consumatori, ma senza quel boom di vendite che i più ottimisti preconizzavano. Infine, la crisi dei mercati emergenti ha tarpato le ali ai progetti di Marchionne nel Medio Oriente, in Russia e nel Sud-est Asiatico. Fiat ci arriva tardi, senza prodotti specifici, senza una strategia e senza gli investimenti necessari per svilupparla.
In questo quadro, la crescita continua del marchio Jeep e il buon andamento dei mercati europei e di quello nordamericano serviranno soltanto a mantenere l’azienda in linea di galleggiamento e non a farla crescere. Inoltre, l’affaire Volkswagen, che nel breve periodo potrebbe avere dei risolti positivi in termini di vendite nel Vecchio continente e in Usa, nel medio termine avrà come conseguenza la necessità di mettere in campo maggiori investimenti in ricerca e sviluppo per stare al passo con le normative anti-inquinamento o le nuove tecnologie elettriche e ibride.
Marchionne conosce la situazione meglio di chiunque altro e per questo farà di tutto per trovare un accordo con un’altra casa automobilistica. Vendere, fondersi, accorparsi con un altro costruttore e raggiungere la dimensione industriale che permetterebbe di fare gli investimenti necessari per restare competitivi. Ma sarà una preda e non un cacciatore. Una preda sfrontata che si è persino messa da sola nel mirino di General Motors sfidandola a sparare. Una preda abilissima nelle trattative, ma pur sempre una preda.