Sotto la carrozzeria le automobili sono tutte uguali. O per lo meno sono molto simili. Sono sicure, abbastanza robuste, con buone prestazioni. Fino a una decina di anni fa i cavalli, i consumi, l’accelerazione erano il fattore principale che spingeva all’acquisto di un modello rispetto all’altro. Ora le differenze tra i vari modelli della stessa classe sono talmente minime che questi fattori sono passati in secondo piano: quello che differenzia un’auto dall’altra sono la fascia di prezzo, il design e l’immagine della marca.
Nessuno può dire che un’auto da 40 mila euro sia uguale a una che costa 20 mila perché non è vero, ma a parità – o quasi – di prezzo si otterranno auto con la stessa tecnologia, con gli stessi materiali e che hanno lo stesso livello di finiture. Se non saranno proprio identiche (anche se i fornitori sono i medesimi per molti costruttori), le auto saranno molto simili sotto il cofano. Per non parlare di quelle dello stesso gruppo, che sono spesso cloni le une delle altre.
Una volta stabilito quanto si vuole – o si può – spendere per un’auto nuova entrano in gioco i fattori davvero importanti per l’acquisto. Il primo è il design. L’auto deve avere linee il più possibile originali, ma senza esagerare. O forse esagerando pure, perché no? Quando si tratta di stile e di bellezza non ci sono regole da seguire. Probabilmente la parola giusta in questi casi è equilibrio, ma senza farne un dogma. Ci sono regole stabilite dall’Unione europea che impongono ai designer limiti importanti per proteggere i pedoni in un eventuale incidente. Poi ci sono le regole della produzione industriale che suggeriscono o impediscono per motivi economici alcune soluzioni estetiche. Insomma, i limiti sono molti, ma il lavoro dei designer, quelli bravi, è proprio quello di risolvere con creatività i problemi e offrire un prodotto accattivante. Poi la scelta dei clienti è assolutamente personale. Qualcuno preferisce la Bmw serie 5, qualcun altro la Mercedes classe E.
Ma è tra le piccole che è più evidente il valore del design. Quello della 500, per esempio, ha risollevato i destini di un intero gruppo industriale e sono anni che funziona, anche se dal punto di vista tecnologico ci sono auto migliori. Sempre in casa Fiat, l’altro esempio è la Lancia Ypsilon di fine 2000. L’auto era già datata e a fine corsa quando l’allora responsabile di marca decise di offrirla in versione bicolore: le vendite ricominciarono a salire e, di pari passo, vennero messe in campo una serie di campagne pubblicitarie che associavano la Ypsilon al mondo della moda, alle giovani donne, all’eleganza. E le vendite inopinatamente ricominciarono a salire.
Questo esempio ci porta al fattore decisivo dell’immagine di marca: più è definita e positiva, più è coerente e azzeccata al momento, più aiuta le vendite. Un altro esempio ci può aiutare a capire meglio. Mercedes fino a meno di un lustro fa era semplicemente l’auto dei cùmenda, piccoli imprenditori con la fabbrichètta del nord Italia. Avere una Mercedes significava essere arrivati, avere denaro. Era un modo per dire: “Ho avuto successo”. E i prodotti rispecchiavano anche nello stile questa immagine. Bmw era ed è ancora velocità, piacere di guida. Audi aveva un’immagine meno definita che puntava sulla tecnica, sulla meccanica che in questi anni è diventata tecnologia.
Mercedes ha prima perso la leadership del mercato premium, poi anche il secondo posto e, allora ha deciso di cambiare tutto. Da auto del commenda a innovazione, da vecchio a giovane, da industriale a digitale. Le linee delle auto sono cambiate, è cambiata la comunicazione ed è iniziato un lungo meticoloso lavoro per rifare completamente l’immagine di marca che la sta riportando piano piano al vertice del segmento premium.
Oggi Mercedes non sceglierebbe mai un cinepanettone dei fratelli Vanzina per fare product placement perché la comicità a buon mercato, l’ordinarietà, un certo tipo di sostentazione del benessere della ricchezza non sono coerenti con la sua immagine, mentre se avete in mente una app che – facendo il primo esempio che ci viene in mente – mette in collegamento gli studenti delle università con i centri di ricerca in giro per il mondo, la casa stellata potrebbe forse decidere di sponsorizzarvi. L’immagine di marca è importante perché il cliente ci si deve riconoscere. L’auto si indossa un po’ come un vestito e quello che compriamo è l’idea che pensiamo abbiano gli altri di noi quando la guidiamo. Insomma, la scelta di un’auto dice chi pensiamo di essere o chi vorremmo essere: non si compra un veicolo, ma uno sorta di specchio in cui ci dobbiamo riconoscere.
Un’immagine forte di marca – ça va sans dire – è più facile da costruire quando il prezzo dell’auto è alto. È già implicito il messaggio che lanciamo al mondo è: «sono ricco perché mi posso permettere di spendere così tanti soldi». E creare un’immagine di marca forte è chiaramente più complicato quando parliamo di utilitarie, che da una parte non possono offrire la componente dell’esibizione del lusso e dall’altra hanno meno margini per poter investire in campagne di comunicazione di brand. Ma ci sono delle eccezioni, o meglio dei costruttori che ci sono riusciti, come Fiat, Skoda o, fino a qualche tempo fa, Seat. La prima ha puntato sulla simpatia, sull’associazione di idee tra Italia, moda e design. La seconda ha prima scommesso sulla “intelligenza” dell’auto, sul suo buon rapporto qualità prezzo e ora sta virando la campagna di comunicazione cercando di associare l’idea di intelligenza al cliente. Che quindi arriverà a scegliere Skoda per esibire il proprio elevato QI. Seat aveva un brand associato all’emozione di guida e soprattutto ai giovani, ma ha deciso di allargare il tiro, col risultato, evidentemente non calcolato, di diventare invece decisamente più anonima. Come anonimi o quasi sono altri marchi come Ford e Opel. Quest’ultima ha prima deciso di puntare la sua immagine sull’essere tedesca, ma l’idea è stata affondata in buona parte dal dieselgate, e ora sta faticosamente cercando di farsi associare alla tecnologia, ma in questo momento questa componente è più un “must have” che un fattore distintivo.
Anche Dacia – proverbiale eccezione che conferma la regola – attesta l’importanza dell’immagine. La marca utilizza le vecchie catene di montaggio delle Renault trasferite in Bulgaria per i costi bassi di manodopera. Di conseguenza per un prezzo basso si compera un’auto nuova – di dieci anni fa – senza nessuno o quasi dei “fronzoli” moderni. Il design non è da urlo, ma l’immagine di marca “essenziale”, low cost, gioca una ruolo fondamentale. È quasi pauperistica, ma c’è molta filosofia dietro. Chi la compra dice agli altri: «Ho un’auto che è come la vostra, ma costa molto meno. Sono più intelligente di voi». O anche: «Sono contro gli sprechi. L’auto è solo un mezzo per spostarsi. Non ho bisogno di dimostrare niente a nessuno». Insomma, si compra un’auto anche per dire agli altri che non si vuole dire niente.