«La Seat Ateca è destinata a diventare il nostro terzo pilastro, portando avanti la formula di successo di Leon e Ibiza. Il segmento dei Suv ci offre enormi opportunità, giacché le vendite cresceranno del 25% in Europa occidentale. Per di più, il suo arrivo sarà un fattore decisivo per migliorare l’immagine del marchio. Questa è la nostra sfida chiave». Le parole di Luca de Meo, da poco presidente della Seat, uno dei marchi del gruppo Volkswagen, non fanno neanche finta di nascondere l’importanza di questo modello, in mostra al prossimo salone di Ginevra, per il costruttore spagnolo. A memoria non si ricordano numeri uno di aziende automobilistiche presentare personalmente le anteprime di un salone e mai si è detto così schiettamente che tra i problemi di un marchio ci fosse anche la sua immagine.
L’Ateca (mi piacerebbe proprio sapere ci ha deciso di mettergli questo nome, quello di una cittadina a ovest di Saragozza, che, almeno a un italiano, non resta certo in testa) entra nel segmento più difficile del mercato: quello della Nissan Qashqai, della Kia Sportage o della Bmw X1, per intenderci, e almeno sulla carta se la può giocare. La linea non è molto originale (quale auto di questo tipo lo è?), ma promette di essere all’avanguardia, piena di tecnologia, con motori efficienti e ben costruita. Le prevendite inizieranno a primavera e solo allora si potrà intuire se l’arrivo del Suv sarà in grado di far fare quel salto di qualità e di vendite per cui il marchio sembra essere già pronto.
Anche grazie agli incentivi alla rottamazione delle auto in Spagna, Seat ha chiuso il 2015 segnando un incremento delle vendite per il terzo anno consecutivo. Per la prima volta dal 2007, le consegne annuali hanno superato la barriera delle 400.000 unità (400.037, +2,4%), facendo registrare un incremento del 25% dal 2012, quando erano state vendute 321.000 unità. È il miglior risultato di vendita degli ultimi otto esercizi. Ma Seat è, e rimane, ancora l’ultima ruota del grande carro di Volkswagen e anche lo scorso anno è stato il marchio del Gruppo che è cresciuto meno in Europa (poco più di 300 mila auto, quasi il 50% in meno in di Skoda e neanche la metà di Audi).
Troppe differenze di mentalità tra spagnoli e tedeschi, si diceva un tempo, per far funzionare un matrimonio strano nato 30 anni fa e mai decollato davvero. Così, negli anni, una mezza dozzina di manager teutonici si sono alternati al posto di comando con uno spagnolo, Juan Llorens Carrió, un belga, Pierre-Alain de Smedt, un inglese, James Muir, e, per ultimo, un italiano, Luca de Meo. Però nessuno ha, almeno finora, davvero trovato la chiave per risolvere l’enigma di Seat, idea sulla carta perfetta per dare spazio al gruppo tedesco nel segmento delle auto piccole e nei mercati latini che, disgraziatamente, non ha mai funzionato.
Nel 2012 l’inglese Muir ha deciso di buttare nel cestino il famoso slogan “Auto Emotion” che caratterizzava il marchio da anni e lo associava alla guida sportiva, scegliendo di sostituirlo con il cervellotico “Enjoyneering”, crasi, non riuscitissima e impossibile da ricordare, tra “Enjoy” e “Engineering”. L’ultimo tedesco sulla plancia di comando, Jürgen Stackmann, ha scelto invece di allargare la gamma delle vetture cominciando a pensare al Suv che verrà presentato a Ginevra. Non sono scelte in assoluto sbagliate, ma non si capisce la logica e la strategia complessiva di un marchio che potrebbe, e dovrebbe, non essere la fotocopia degli altri brand del Gruppo.