Coi numeri si può dire quel che si vuole. Anche che la situazione è più rosea del reale. Tanto, si sa, si fa sempre in tempo a correggere il tiro. Così, anche se per gli analisti di Barclays, che non sono propriamente gli ultimi arrivati, il dieselgate costerà a Volkswagen 25 miliardi di euro, e per quelli di Ubs dirittura 38, la casa di Volksburg ha deciso di accantonare “solo” (si fa per dire) 16,2 miliardi di euro. Una cifra che in gran parte se ne andrà solo per chiudere la partita negli Usa – si vocifera di 10 miliardi di euro – quando quelle nel Vecchio continente e in Asia non si sono neppure ancora aperte (tanto che in Germania a gran voce si parla di “discriminazione” dei clienti tedeschi). Il “maxiaccantonamento”, a guardar bene, tanto maxi non è. E la ragione sta tutta nel rigore teutonico che vuole la conversione delle azioni privilegiate in ordinarie nel caso in cui per due anni di seguito non venga pagato un dividendo ai soci, il che significa far vacillare il controllo fino ad ora esercitato dalle famiglie Piech e Porsche. Così, per scongiurare il rischio, anche per quest’anno Volkswagen staccherà una cedola, anzi, una mini-mini cedola ridicola, di 11 centesimi (il 97% in meno dai 4,8 euro dello scorso anno) per ogni azione ordinaria e di 17 centesimi per ogni privilegiata. Meglio di niente. Meglio, soprattutto, di rischiare di perdere il controllo della società. Anche perché, diciamocelo, il prossimo anno i costi del dieselgate si saranno manifestati in tutta la loro maestosa grandezza e le alchimie contabili non è detto che consentano di tamponare la situazione.



Per quest’anno, o meglio, per il 2015, l’accantonamento, indubbiamente sottostimato, fa in modo di limitare il rosso, ma il confronto con il 2014 è comunque impietoso: la perdita lorda con cui Vw chiude il 2015 è di 1,58 miliardi, contro gli 11 miliardi di utili dell’anno precedente, e il risultato operativo è negativo per 4,1 miliardi di euro.  Non ci voleva proprio, perché a ben guardare il gruppo di Volksburg tanto male nel 2015 non è andato: il fatturato è aumentato del 5% toccando i 213,3 miliardi di euro, con un risultato operativo rettificato che in sostanza ha tenuto, a quota 12,3 miliardi di euro, così come le vendite, 9,9 milioni di veicoli, “appena” 200mila in meno rispetto al 2014, uno scotto pagato soprattutto negli Usa e in Brasile, il che non ha impedito alla divisione automotive di far cassa per 8,9 miliardi di euro (6,1 nel 2014) e di portare la liquidità netta a 24,5 miliardi. Una liquidità che, presumibilmente, entro la fine di quest’anno cambierà il suo stato fisico, gassificandosi, se anche l’Europa seguirà l’esempio delle agguerriti corti americane.



Marina Marinetti

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