Ci eravamo lasciati con Fca finalmente focalizzata sull’esecuzione del piano industriale e in particolare sul lancio dei nuovi modelli premium. Lo scenario che si era manifestato era questo: dopo il rifiuto certo di General Motors, nonostante la corte serratissima di Marchionne, e quello probabile di Volkswagen vanificato da un cambio di management e dai problemi negli Stati Uniti, Fiat si trovava costretta ad abbandonare nel breve termine i piani di consolidamento. La finestra in cui negoziare una fusione da una posizione di forza sembrava chiusa; le continue azioni straordinarie sul titolo sono finite, incluso lo spin off di Ferrari, e i conti del gruppo sono meno scintillanti proprio perché appesantiti da un piano di investimenti nel pieno del suo sviluppo. Una società in una differente fase del suo ciclo di investimenti si presenta al mercato con una capacità di generazione di cassa molto superiore che si traduce in un differente apprezzamento del mercato e anche in una diversa performance borsistica.



La volontà del gruppo – e in particolare dei suoi azionisti di riferimento – di compiere un ulteriore salto con una fusione è stata ribadita con forza dall’autunno del 2014, e anche nelle ultime settimane non sono mancate decise conferme con, oltretutto, Exor che si diceva disponibile a diluirsi per favorire un’aggregazione. Questa “aggregazione”, che veniva chiamata fusione, si confondeva nei fatti con una cessione, perché un’operazione con un gruppo molto più grande avrebbe trasformato la quota di Exor in modo sostanziale. Oggi quella partecipazione e quell’assetto fanno di Exor un’azionista imprenditore con un’influenza diretta e dominante sulla società, una partecipazione del 5-10% è non solo finanziaria, ma anche libera da vincoli di lungo periodo e di responsabilità industriali dirette. Queste valutazioni e i rumour e le speculazioni su Fiat non sembravano però più di attualità.



I rumour di mercoledì sul possibile interesse di Gac a rilevare una quota di maggioranza e la smentita successiva del gruppo cinese che dichiarava che al momento non aveva piani magari non cambiano lo scenario nel breve periodo, ma sicuramente ci ricordano quale siano gli obiettivi strategici del gruppo. I rumour sembravano credibili perché è stato lo stesso Marchionne a dichiarare qualche settimana fa che diversi gruppi si erano fatti avanti con proposte che però non erano convincenti. Di certo Gac non può offrire neanche lontanamente le sinergie che, per esempio, potrebbe offrire GM. Gac potrebbe fare questo investimento solo con un supporto esterno, per esempio il governo cinese in via diretta o in una delle sue mille forme indirette. La storia però si è ulteriormente complicata con i rumour di tensioni tra Elkann e Marchionne proprio sul tema della fusione.



I rumour su tensioni tra azionista e amministratore delegato non sono completamente nuovi e sono saltati fuori in diverse occasioni negli ultimi mesi. La novità abbastanza comprensibile è che queste tensioni siano proprio sul tema della fusione; è una novità comprensibile perché il cuore della questione Fiat per bocca dei suoi manager e azionisti non è un piano stand alone di lungo termine di rifocalizzazione sul segmento premium, ma la ricerca di un partner giusto. I rumour, rilanciati da Il Giornale, vanno ancora più in là, ipotizzando che il problema sia Marchionne e la sua personalità ingombrante. Marchionne vorrebbe ritagliarsi un ruolo guida nel post fusione e questo ovviamente complica le trattative.

Il ruolo guida di Marchionne si porta dietro probabilmente anche tutta Fca, che da preda qual è nelle ipotesi di merger emerse finora acquisisce almeno un ruolo non comprimario. Questo riduce di molto la platea di potenziali partner e non può essere benvisto da chi ha fretta di fusione/cessione. Se lo scopo è monetizzare o mettersi in una posizione, che non è quella attuale, in cui si possa monetizzare in tempi ragionevoli (con una quota vendibile sul mercato, per esempio) tutte le discussioni su ruoli e equilibrio di poteri post fusione sono superflue. Se invece si mettono sul tavolo equilibri personali o industriali allora tutto cambia.

La sensazione è che il manager che piace ai mercati, Marchionne, sia veramente quello che pone i “problemi”; problemi che potrebbero persino essere buoni per chi ancora si occupa di temi romantici come gli interessi del “sistema Paese”.