Alla fine è toccato anche a Fca. Poco importa se la fonte (i giornali tedeschi) non fosse delle più attendibili, se il coinvolgimento riguardasse un solo modello (si dice la 500X con motore diesel) o che la casa costruttrice italo-americana si fosse comportata in maniera ineccepibile rispetto alle autorità tedesche che volevano tirarla in ballo. È bastato che trapelasse un suo possibile coinvolgimento nel dieselgate per spingere nel baratro il titolo a piazza Affari, farlo sospendere per eccesso di ribasso e, poi, farlo chiudere con un secco -4%. Ma cosa sta succedendo?
Per capirlo riepiloghiamo i fatti. L’ufficio federale della motorizzazione tedesco (Kba), dopo le vicende Volkswagen, ha aperto un’inchiesta su 50 modelli venduti in Germania anche da altre marche. Un mese fa sono usciti i risultati: nessuno, a parte il gruppo di Wolfsburg, usava il trucco della centralina che riconosceva i test di laboratorio e interveniva sulle emissioni, ma alcuni veicoli registravano «valori di emissioni di ossidi di azoto vistosamente alti e che tecnicamente non sembrano sufficientemente spiegabili». Insomma, dopo mesi di indagine i teutonici tecnici della Kba hanno scoperto l’acqua calda e cioè che le auto in strada emettono più inquinanti che durante i test in laboratorio, che esistono determinate condizioni, magari climatiche, che sballano i valori e che, in alcune occasioni, ovvero quando si rischia di compromettere il buon funzionamento del motore, i dispositivi che abbattono le sostanze inquinanti, da regolamento europeo, possono essere momentaneamente spenti. E che fosse acqua calda lo dimostrano i marchi dei veicoli che hanno registrato questi scostamenti: Alfa Romeo, Audi, Chevrolet, Dacia, Fiat, Ford, Hyundai, Jaguar, Jeep, Land Rover, Mercedes, Nissan, Opel, Porsche, Renault, Suzuki e Volkswagen. A occhio mancano solo Bmw, Toyota e Lancia, ma forse quest’ultima non è stata neanche presa in considerazione.
Dati questi «valori di emissioni di ossidi di azoto vistosamente alti e che tecnicamente non sembrano sufficientemente spiegabili», il Kba ha deciso di convocare uno alla volta i costruttori per chiedere lumi. I tedeschi, un po’ stortando la bocca, ci sono andati. Fca no. Perché la direttiva europea parla chiaro: il confronto sulle emissioni dei veicoli deve avvenire tramite le autorità di omologazione nazionali e, nel caso di Fca, tra quella tedesca che ha fatto i test e quella italiana, ovvero il ministero dei Trasporti che ha omologato i veicoli.
Lo aveva scritto il ministro Graziano Delrio al suo collega tedesco Alexander Dobrindt qualche giorno prima ricordando la direttiva europea e dichiarando che c’era la «piena e completa disponibilità del costruttore Fca a fornire una serie di informazioni in merito alle proprie strategie di controllo delle emissioni». Ma non è servito a nulla. Fca è stata convocata in Germania, il suo rifiuto a presentarsi è stato reso pubblico e ha scatenato i media tedeschi. Handelsblatt ha scritto, con poca classe, che «Fca non rende un buon servizio al settore auto» e che «i tedeschi dovranno riflettere bene prima di comprare un’auto del gruppo».
Il tentativo dei tedeschi di far sembrare tutti colpevoli per fare in modo che non ci sia nessun colpevole ha segnato un altro punto a suo vantaggio, ma vale forse la pena anche cominciare a ragionare su quello che il dieselgate si sta sempre più rivelando giorno dopo giorno: uno strumento micidiale per chi vuole fare affari in fretta. Lo dimostra quello che è accaduto tra Nissan e Mitsubishi, con la prima che denuncia poi compra il concorrente. Lo dimostrano le accuse della Corea, che ha un grande costruttore nazionale, alla stessa Nissan. Lo dimostrano i movimenti in Borsa che hanno accompagnato ogni notizia o presunta tale. Una guerra totale in cui ci rimetteranno tutti molti soldi. E soprattutto la faccia.