Al Lingotto va tutto bene. Ci sono due nuove Fiat Tipo in listino e tra poco vedremo anche la Maserati Levante nei concessionari. Alfredo Altavilla, direttore operativo, è soddisfatto dei risultati di vendita del gruppo. In Italia le immatricolazioni sono in crescita del 11,53% rispetto allo scorso anno e il marchio Jeep va come un treno in tutti i mercati. Dietro l’angolo, poi, si intravede un accordo con Google per contribuire alla realizzazione dell’auto a guida autonoma.
Marchionne, però, non è contento, anzi. «Vedere la Ferrari che soffre mi rompe l’anima. Non è nel Dna della squadra», ha dichiarato ieri annunciando che prenderà il posto dell’amministratore delegato del Cavallino Amedeo Felisa, uno dei pochi rimasti della gestione Montezemolo. Non riusciamo a immaginare il biglietto da visita del Sergio nazionale: ceo di Fiat-Chrysler, presidente e amministratore delegato di Ferrari, presidente in Cnh, le aziende del Lingotto che si occupano di trattori e mezzi pesanti, vicepresidente di Exor, la finanziaria degli Agnelli, presidente del Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti (per gli amici: ConsiUsa), presidente di Sgs, la società ginevrina che si mormora voglia comprare e che si occupa di certificazioni, e, se non andiamo errati, dovrebbe essere ancora nel board di Philip Morris International, la multinazionale del tabacco. Se le giornate di Marchionne erano già impossibili prima, ora che si è caricato sulle spalle anche il totale controllo di Ferrari, non riusciamo proprio a immaginarle. Anche perché la situazione a Maranello non è semplice.
Pesano i debiti, quasi due miliardi di euro, scaricati dal neo amministratore delegato sull’azienda al momento della quotazione. Pesa il pessimo andamento in Borsa. Pesa il dilemma tra l’aumento della produzione che farebbe crescere i guadagni e la necessità di mantenere il Cavallino un marchio d’élite destinato soltanto a pochi. Pesano, soprattutto, i non buoni risultati sportivi che non contribuiscono affatto alla sua immagine internazionale. Ferrari è un gioiello fragile che regge a fatica i cambiamenti drastici che sono la specialità di Marchionne. Quest’ultimo, però, si può sempre consolare se andrà in porto la partnership con Google sull’auto a guida autonoma che il gigante di Mountain View sta sperimentando da mesi. Il Wall Street Journal la dà per scontata affermando che la firma avverrà a giorni e, con ogni probabilità, non ha torto. Fca è la candidata ideale a diventare partner dell’Over the top americano, perché non pare abbia investito una lira in questo campo, non ha abbastanza soldi per farlo in futuro ed è decisamente più malleabile degli altri costruttori quando si parla di proprietà dei mega dati elaborati dal veicolo.
Quest’ultimo punto ha fatto naufragare le trattative di Google con Ford e quelle di Apple con Bmw e con Daimler. Ma Fca, l’azienda che ha i margini più bassi del settore e quindi meno liquidità da investire per esplorare ogni genere di nuova tecnologia, non può andare molto per il sottile se vuole avere un futuro. Specie dopo che ogni ipotesi di matrimonio con un altro costruttore di automobili sembra per lo meno rimandata. «Bisogna essere in due per trattare e non ci hanno invitato», ha detto Marchionne riferendosi all’atteggiamento di General Motors, il partner ideale secondo il ceo di Fca. «La questione delle alleanze è strategica, prima o poi, bisogna farlo. Però adesso abbiamo cambiato il passo completamente. Bisogna farlo in modo più tranquillo».
Insomma, niente matrimonio, ma solo una convivenza, utile a entrambi, probabilmente con Google. A volte anche le seconde scelte possono rilevarsi delle ottime soluzioni.