Deve ancora nascere un americano che frega Marchionne. È accaduto di solito il contrario. Ma stavolta, con Trump, il manager impulloverato, – l’uomo che ha giocato a poker con la General Motors e con Obama vincendo con un doppio bluff – troverà filo da torcere: all’altro lato del tavolo siede uno che sa bluffare quanto lui. Perciò va esaminato in controluce, anzi meglio sarebbe una Tac, il dialogo a distanza che per la prima volta ieri ha opposto – o unito? – il presidente designato con lo strano pirata un po’ abruzzese, un po’ canadese che ha dapprima salvato la Fiat dal crac, poi ne ha fatto nuovamente un grande gruppo profittevole e assai più globale di prima, intanto ha sopportato John Elkann e seccato Luca di Montezemolo. Come dire, un fuoriclasse. Però mentre fino a ieri, al tavolo da gioco americano, Marchionne – col suo fiuto e la sua scaltrezza – si trovava di fronte un damerino di Harvard, ora si trova alle prese con un baro professionista, che ha un naso lungo almeno quanto il suo, che si è fatto eleggere promettendo – lui, il magnate spietato di “The apprentice” – una trasfusione di eguaglianza sociale, seminando battutacce sessiste che neanche al Bagaglino e razziste che nemmeno a Ponte di Legno e adesso gioca pure di fioretto con i radical-chic del New York Times che non ci si raccapezzano più e viene sostenuto da Wall Street come non era capitato neanche a Obama.



Anche Marchionne ha però un suo limite, palese: non si considera Dio, si considera sopra Dio. E non è affatto vero che ieri abbia voluto rendere omaggio a Trump: solo, non ha potuto irriderlo, perché sta per entrare alla Casa Bianca. E quindi vale adesso anche per lui “l’articolo 1” della Costituzione materiale di quasi tutti gli imprenditori del mondo, etica a parte: “Franza o Spagna, purché se magna”. Cos’è successo, per riassumere l’essenziale? Che Marchionne ha annunciato 1 miliardo di dollari di nuovi investimenti in Michigan e Ohio, che comporteranno duemila nuove assunzioni. Quando l’ha saputo, Trump ha ringraziato con un tweet: costringendo Marchionne a un controringraziamento a denti stretti: “Che devo dire, stiamo parlando del presidente designato degli Stati Uniti, cosa volete che gli risponda. Che lo ringrazio per averci ringraziato. Era un atto dovuto al Paese”.



Avete letto bene: “Cosa volete che gli risponda?” significa che se avesse potuto, l’avrebbe mandato a quel paese, ma il tempismo di Trump l’ha spiazzato: e così Marchionne – il leader sbruffone che non si risparmiava di scrollare platealmente la testa davanti a Berlusconi che sbraitava dal palco degli industriali di Vicenza nel 2006, perché tanto Berlusconi contro di lui non poteva niente, il manager lib-lab che ha stroncato la Fiom ma si atteggia a tutore dei sindacati, il manager amico di Obama – ha dovuto ringraziare il miliardario bancarottiere che sta per sedersi a cassetta della carovana America: “Cosa volete che gli risponda?”.



Però, a onor del vero, Marchionne ha poi precisato, sia pure a un livello di dettaglio che i titoli dei telegiornali non riescono a cogliere, che gli investimenti annunciati erano già in programma, quindi la Fiat non li fa per Trump; e che comunque le minacce lanciate dal presidente designato contro le case automobilistiche americane, per ottenerne i maggiori investimenti in Usa che ne sono poi effettivamente derivati, non sono state ancora rivolte ai produttori europei – quindi non solo Fca ma anche Volkswagen e Mercedes – perché con loro l’appello patriottico suonerebbe grottesco.

E ancora: interpellato sull’annosa questione della possibile ma respinta (dagli americani) fusione con General Motors, Marchionne ha detto: “Da quello che capisco, e capisco poco, un’unione fra General Motors e Fca dovrebbe piacere a Trump. Nessuno sa, nemmeno noi cosa vuole fare la nuova amministrazione sull’automotive”. Avete letto? “Capisco poco”, è un modo – sacrosanto – di dire senza dirlo che le mosse di Trump, a oggi, sono indecifrabili: il che non è precisamente un complimento. E infine: “Non ho contatti con lui né con il suo staff, ma l’ho conosciuto in passato”, ha puntualizzato riguardo al suo rapporto con Trump. E averlo conosciuto in passato non è garanzia di stima, tutt’altro.

Il punto è che l’opinione pubblica troppo spesso dimentica che la cronaca è influenzata dalla storia. E la storia insegna che senza la proverbiale dabbenaggine degli americani, Marchionne e la Fiat non sarebbero dove sono. Il manager giocò d’astuzia contro la General Motors costringendola nel 2005 a lasciar scadere la call-option che aveva per comprarsi la Fiat Auto anche a costo di versare a Torino il colossale indennizzo previsto dai contratti, indennizzo che fu essenziale per il Lingotto nel rifinanziare l’azienda. Dunque Marchionne lasciò credere agli americani che la Fiat era insanabile salvo poi dimostrare – ed evidentemente lui aveva gli elementi per saperlo – che con quei soldi la Fiat avrebbe potuto essere risanata! Come dire che la General Motors avrebbe potuto, con quei soldi, anziché liberarsi della Fiat comprarsela a poco e poi guadagnarci.

E ancora: di fronte alla crisi della Chrysler, mentre gli altri due colossi dell’auto Usa – GM e Ford – si squagliavano sperando che il terzo incomodo fallisse, Marchionne ha giocato d’azzardo, s’è fatto finanziare da Obama e dai sindacati e ha comprato la Chrysler…spendendo per pagarla gli utili che la Chrysler produceva! Un capolavoro assoluto, compiuto grazie all’eccezionale capacità gestionale che ha rivelato, ma anche e soprattutto grazie all’intuito e alla capacità di rischiare che, in teoria, dovrebbero essere doti eccelse degli americani.

Infine: oggi Marchionne è tra i magnati dell’auto il più convinto della necessità di “digitalizzare” il prodotto. Più avanti di lui c’è solo Elon Musk, il fondatore di Tesla, con il quale non a caso lui negozia. Come negozia con Google e con Apple. Non che Ford e GM dormano: ma sono più lenti. Dunque la Fca di Marchionne ha ancora bisogno dell’America. Di quella della Silicon Valley, più ancora che di quella di Detroit. Possibilmente, ha ancora bisogno di arricchirsi a sue spese, e vivaddio. “Fregare” anche Musk o Cook o Brin e Page sarebbe un capolavoro, per il quale tutti coloro che sperano nel ritorno alla realtà dell’economia reale devono fare il tifo.

Figuriamoci se con una simile premessa vuole litigare con Trump. Finché potrà, comprimerà il suo ego pur di andare d’accordo col presidente biondo. Almeno per non farsi fregare.