Non dateci dei complottisti, ma siamo convinti che dietro i vari scandali sulle emissioni taroccate non ci sia un genuino spirito ecologico, bensì interessi economici di un certo rilievo. Che coinvolgono non solo singoli gruppi industriali, ma le economie dei paesi che quei gruppi rappresentano. Così gli Usa, attraverso lo scandalo del dieselgate, hanno di fatto aperto le ostilità contro la Ue colpendone la rappresentante – anche economicamente – più forte, ovvero la Germania e una delle industrie – quella automobilistica – più floride. Berlino ha risposto – è storia recente – bacchettando a sua volta l’Italia ed Fca, rea di sostenere Trump e di aver intenzione – Marchionne dixit – di aprire uno stabilimento produttivo in Michigan. Ricapitolando: Usa contro Ue/Germania, Italia con Usa, Germania contro Italia. In tutto questo la Francia, che al vicino tedesco contende lo scettro in Europa, poteva forse stare a guardare? Macché. Solo che, anziché approfittarne per affondare il dito nelle piaghe altrui, con chi se l’è presa il governo d’Oltralpe? Con se stesso. Con Peugeot (di cui lo Stato francese è aziosta al 14,1%) e con Citroen (di cui lo Stato francese è azionista al 15,01%. A raccontarlo, quasi non ci si può credere. Ma andiamo con ordine.
È di venerdì 13 – proprio un giorno sfortunato – gennaio l’annuncio dei sospetti su Renault. Innocente fino a prova contraria: la procura di Parigi sta indagando sui dispositivi utilizzati per controllare le emissioni dei motori diesel e per ora si tratta solo di sospetti. Immediatamente dopo, nel weekend, la ministra dell’Ambiente Ségolène Royal ha messo le mani avanti, preannunciando al Journal du Dimanche che potrebbero esserci « altre inchieste contro i costruttori che superano le norme autorizzate». E così, dopo la notizia dell’apertura nei giorni scorsi di un fascicolo giudiziario sui presunti software truccati in casa Peugeot, Le Parisien – uno dei maggiori quotidiani francesi – ora insinua che anche Citroen non sia innocente e cita un’indagine realizzata da un laboratorio della Commissione Ue, il Joint Research Center (JRC). Dai test realizzati la scorsa estate per mettere a punto un dispositivo che fosse in grado di smascherare eventuali software nascosti per alterare le emissioni inquinanti dei motori diesel (per intenderci, del tipo di quello che, nel settembre 2015, fece esplodere il dieselgate) sarebbero – il condizionale è d’obbligo, anche se in quanto a emissioni, i taroccamenti sono un po’ il segreto di Pulcinella – emerse anomalie nei motori della Cactus C4 diesel prodotta da PSA. «Non ci sono software nelle nostre macchine che permettano di modificare i test», sostiene il gruppo francese. E con spirito decisamente – poco – patriottico, il candidato alle presidenziali di primavera, l’europarlamentare ecologista Yannick Jadot, urla ai quattro venti che «in situazione reale, quando fa freddo o molto caldo, questi motori inquinano da 5 a 10 volte più del previsto. I sistemi anti-inquinamento si fermano». Senza rammentare – o fingendo un’amnesia, il che produce più o meno lo stesso risultato – che le regole ancora in vigore prevede che i valori delle emissioni vadano calcolati con l’auto al banco, certo non in condizioni estreme. C’est ça la France. Viene il dubbio che il Tafazzismo non sia stato inventato in Italia.