Anche ieri è stata un’ottima giornata per il titolo Fca in Borsa: è arrivato a valere fino a 9,36 euro per poi chiudere con un incremento di poco meno di due punti percentuali a 9,125 euro. Il rialzo del titolo non è clamoroso, ma è comunque l’ultimo di una lunga serie iniziata alla fine di settembre del 2016 che, in poco più di tre mesi, ha fatto guadagnare all’azione della casa automobilistica il 72,6%. È lecito chiedersi il perché di un tale rialzo. E infatti se lo sono chiesto tutti. Le motivazioni possibili sono molte, ma nessuna ci convince davvero. A nostro parere, nessuna delle possibili spiegazioni finora emerse basta a giustificare l’exploit di un titolo che sembra non risentire minimamente delle notizie negative, mentre vola a ogni novità anche solo in parte positiva.



Quella di ieri, ad esempio, era il buon andamento delle vendite del Gruppo in Italia nel 2016. Fiat e gli altri marchi hanno fatto meglio del mercato segnando un incremento del 18,4% e aumentando la quota fino a quasi il 29%. Il titolo, come dicevamo, è salito dimenticando che l’Italia vale poco più del 10% delle vendite mondiali del Gruppo e che dopo un paio di anni di vacche grasse tutti gli operatori del settore si immaginano un mercato 2017 stabile o in contrazione.



Una motivazione debole come quella dei buoni report di un paio di case di investimenti che hanno promosso il titolo, ma con un prezzo obiettivo più basso di quello che era stato appena raggiunto. O come quella che attribuisce i rialzi alla nuova Portal, il prototipo di monovolume elettrica presentata ieri da Fca al Ces di Las Vegas. In Italia nel 2016 sono state vendute 1500 auto elettriche in tutto e nel resto del mondo, tranne forse in Norvegia e in Francia, la situazione non è molto diversa. E, soprattutto, l’auto elettrica significa spese per investimenti, magari necessari per contare qualcosa nel futuro, ma non utili in questo trimestre o nel prossimo.



Restano, invece, in ballo le vendite dei gioielli di famiglia, ma dopo che Samsung, il principale e unico, almeno finora, potenziale acquirente di Magneti Marelli, disposto a sborsare tra i 3 e i 4 miliardi, si è tirato indietro per i problemi legati alle esplosioni dei suoi cellulari, non c’è nessuno in coda per prendere il suo posto. Ci sono, poi, le aziende cinesi Sinomach, Simee e Shanghai Electric che sono interessate a Comau, ma si parla di cifre decisamente inferiori che non potrebbero spostare così tanto il titolo. 

Le vendite servivano a ripianare i debiti del Gruppo, fra i più alti del settore automobilistico mondiale e, secondo alcuni, Fca avrebbe nel cassetto due alternative. Il primo Piano B riguarda lo scorporo e la quotazione di Magneti Marelli. La seconda, quella più clamorosa, è stata ipotizzata dal settimanale Forbes e prevede la vendita di brand di riferimento come Maserati e Alfa Romeo. Secondo l’analista di Berenberg, Alexander Haissl, la sola Maserati vale tra i 3,4 e i 4,6 miliardi di euro, poco meno di un terzo della capitalizzazione attuale di tutto il Gruppo. Senza un marchio premium che assicura margini interessanti tutti i conti del Gruppo ne risentirebbero, ma crediamo che se ci fosse qualcuno disposto a pagare cifre simili per Maserati che ha venduto 10.656 auto e fatturato 103milioni nel terzo trimestre del 2016, nessuno potrebbe rimproverare Sergio Marchionne se vendesse. Più probabile è invece lo scorporo e la quotazione in Borsa, mantenendo una posizione di controllo dei marchi più conosciuti. Uno spin off in stile Ferrari che servirebbe a ridurre l’indebitamento non a guadagnare di più.

E anche questa non è una motivazione che giustifica una crescita del 72% del titolo in tre mesi. Come l’arrivo del nuovo presidente americano Donald Trump che dovrebbe, secondo alcuni, favorire i merger tra i costruttori americani. Non si capisce perché dovrebbe volere queste fusioni che di solito provocano solo riduzioni di personale e perché dovrebbe essere “amico” di un’azienda che ha delocalizzato, dal suo punto di vista, in Italia la produzione di Jeep e di un amministratore delegato come Marchionne che è sempre stato considerato vicino al presidente uscente Barack Obama. 

L’unico dato economico che favorisce davvero Fca in questo momento è l’andamento del dollaro. L’azienda, come dicevamo, produce in parte in Italia e vende negli Stati Uniti. Un dollaro più forte aumenta i margini di guadagno. Ma di quanto? Alla fine di settembre l’euro valeva 1,12 dollari. Oggi ne vale 1,04. La differenza è dell’8,1%. E l’aumento degli utili riguarda solo quei modelli di Jeep realizzati in Italia che vengono esportati negli Usa, non tutta la produzione. Basta per giustificare una crescita del 72% del titolo? Forse no. E quindi? Possiamo dire che c’è qualcuno che compra e che, forse, sa qualcosa che gli altri, tutti noi, non sappiamo.