Fare ipotesi sul futuro di un settore industriale come quello dell’automobile è sempre difficile, ma c’è una cosa su cui ci sentiamo di scommettere: il prossimo anno nel mondo si venderanno più auto rispetto al 2017. Sui singoli mercati, anche i più grandi, è difficile fare previsioni, ma nel loro complesso i costruttori venderanno di più. Nei Paesi che fino a un po’ di tempo fa erano definiti emergenti, ma che ormai sono emersi da un pezzo, ci sono milioni di persone che non solo non hanno l’auto, ma sono neanche capaci di guidare. Nel 2018 una parte di loro prenderà la patente e riuscirà a coronare il sogno di una vita, magari firmando un pacco di cambiali, replicando, in grande, la situazione che abbiamo vissuto in Italia degli anni Cinquanta. E si venderà qualsiasi cosa: dalle auto premium a quelle che noi non compreremmo mai.
Volete un esempio? Visitando una fabbrica in Cina una decina di anni fa, un imprenditore italiano si accorse che in un’auto erano stati montati un sedile chiaro e un sedile scuro. Lo fece notare e gli spiegarono che erano finiti quelli chiari. Nient’altro. Ovvero quando c’è fame (anche di un prodotto) si mangia (o si compra) qualsiasi cosa.
Nel primo mondo il mercato è di sostituzione, ovvero si deve convincere chi l’auto ce l’ha già a cambiarla. I giovani che non l’hanno mai avuta non la considerano un bene di primaria importanza oppure, come in Italia, non hanno i soldi per comprarla. I costruttori, tutti, stanno facendo sostanzialmente due cose: cercando di far comprare qualcosa che sostanzialmente l’automobilista non vuole e cercano di trovare un modo per vendere abbassando, di molto, la cifra di ingresso da sborsare. Nella prima categoria rientrano la guida autonoma e la trazione elettrica. Nella seconda il noleggio a lungo termine e il car sharing. È una strada obbligata, ma tutta in salita. Vediamo perché.
Le vetture elettriche offrono ancora un’autonomia scarsa e tempi di ricarica molto lunghi. È vero, chi fa solo una decina di chilometri al giorno e ha a disposizione un garage o un posto auto con una colonnina di ricarica ha il vantaggio di spendere poco o niente di carburante, ma se deve andare da Milano a Spoleto deve prendere il treno. Qualche tempo fa l’elettrica sarebbe stata definita la seconda o la terza auto, un giochino per chi se la può permettere. Le ibride e le ibride plug in vanno meglio, ma i risparmi di carburante che si fanno in città sono compensati dai maggiori consumi in autostrada. Oggi la situazione è questa. Se domani (qualcuno ipotizza il 2025) inventeranno delle batterie che offriranno un’autonomia di 500 chilometri e si ricaricheranno in meno di mezz’ora, i veicoli elettrici potranno diventare un prodotto di massa. Altrimenti resteranno un prodotto di nicchia. Spinto dalla politica, dai funzionari europei, dalle case automobilistiche, dagli amministratori comunali, ma sempre un prodotto di nicchia.
In un Paese come il nostro, dove solo un’auto venduta su cinque ha il cambio automatico, ha senso parlare di guida autonoma? Ditemelo voi. Hanno senso tutti i sistemi di assistenza che entrano in funzione quando l’automobilista è distratto o perde il controllo dell’auto, ma devo ancora conoscere qualcuno che si siederebbe tranquillamente nel sedile posteriore per far guidare un computer. Qualcuno comprerà queste auto, le farà vedere agli amici, si vanterà, ma poi spegnerà tutto e metterà le mani sul volante e il piede sull’acceleratore.
Sono molto più efficaci tutti quei sistemi per condividere o diluire i costi, ormai proibitivi, dell’auto. Nel noleggio a lungo termine non si risparmia granché, ma con cifre che partono da poco più di cento euro al mese si ha a disposizione un’auto senza neanche avere tutte le scocciature della proprietà come il bollo e l’assicurazione. Questo è un fenomeno in crescita e che crescerà ancora. Come il car sharing, che per le case automobilistiche ha un solo difetto: nessuno è ancora riuscito a guadagnarci dei soldi.