La notizia della cessione di Opel a Psa, Peugeot, da parte di General Motors è vecchia di appena una settimana; oggi assistiamo alle conseguenze politiche di questa decisione con i politici tedeschi preoccupati che l’acquisizione possa risultare in perdita di posti di lavoro. Non è chiarissimo perché Psa abbia deciso di scommettere ulteriormente sul complicato e anemico mercato europeo e soprattutto perché abbia deciso di farlo puntando su una società che perde soldi, tanti, da tanto tempo e che nemmeno un colosso come General Motors è riuscito a riportare in utile. Evidentemente Psa pensa di avere più possibilità di ristrutturare le attività di Opel, tagliando, magari facendo leva sui rapporti franco-tedeschi che sono il cuore dell’Europa e dell’euro degli ultimi venti anni. Non è chiaro cosa ci possano guadagnare i tedeschi; forse meglio concordare i tagli con una controparte amica, la Francia, oggi piuttosto che con qualcun altro, meno amico, domani. Forse c’è altro che al momento non riusciamo a vedere.
Tra le questioni non chiarissime c’è anche quella del perché GM abbia deciso di uscire da un mercato difficile, l’Europa, ma comunque importante e forse irrinunciabile per un player con aspirazioni globali. Tra l’altro GM in questo modo perde un paio di posizioni nella classifica dei gruppi mondiali per auto vendute in un settore dove le economie di scala e le dimensioni contano eccome, tanto più se alla vigilia di una rottura tecnologica che richiederà tantissimi investimenti. Nella cartina geografica di GM rimane un buco piuttosto evidente in Europa.
Le vicende di GM sono importanti per Fca, già nota come Fiat, perché Marchionne ha attivamente cercato, recapitando mail, di proporre una fusione tra le due società. I suoi tentativi sono caduti nel vuoto nonostante le ragioni finanziarie e industriali di questa operazione non mancassero. Tra le questioni principali nella mancata fusione tra General Motors e Fca c’era sicuramente anche una questione di leadership; Marchionne puntava sicuramente a guidare il nuovo gruppo al punto che si era perfino ipotizzato un’offerta di Fca su GM. Per quanto i successi di Marchionne siano eccezionali, scalzare Mary Barra era ed è un’impresa al limite dell’impossibile per tante ragioni incluse relazioni politiche.
Oggi General Motors ha uno spazio libero alla voce Europa, ma dall’altra parte c’è una società il cui principale azionista, la famiglia Agnelli, ha più volte dichiarato non solo di essere disponibile a farsi diluire, ma di ritenere necessario un ulteriore salto dimensionale. Uscire da un settore complicato come quello dell’auto trasformando una partecipazione industriale di controllo in una finanziaria è un obiettivo che sarebbe stato raggiunto sia con una fusione con GM, propugnata da Marchionne con il probabilissimo accordo del suo azionista, sia in una fusione con Bmw di cui si è parlato per anni. È presumibile che questo obiettivo sia ancora valido per una società, Exor, che ha diversificato comprando un’attività super-finanziaria, e pochissimo “industriale”, come la riassicurazione.
Se l’ostacolo principale per arrivare alla fusione con General Motors è la leadership e se c’è fretta di raggiungere l’obiettivo non è fanta-finanza ipotizzare che l’azionista di Fiat cerchi di appianare l’ostacolo trovando un accordo con il suo amministratore delegato; un accordo in cui il secondo abbandona le ambizioni di leadership del nuovo gruppo e “si fa da parte”. Nei giorni della cessione di Opel qualcuno ha ipotizzato che General Motors “ricompri” Opel ristrutturata da Psa insieme a tutta Psa riempiendo il buco rimasto sul mercato europeo. In questo scenario Fca nel medio termine rischia di perdere per sempre l’opportunità di una operazione con General Motors.
L’annuncio della cessione di Opel di settimana scorsa può cambiare lo scenario per Fca trasformando una società impegnata a raccogliere i dividendi del mercato americano subito e quelli del rilancio di Alfa Romeo e Maserati nel medio termine in una società rifocalizzata su una fusione “più prima che dopo”. Rimarrebbe un grande punto interrogativo sulla fretta e voglia di liberarsi di un’attività che, se gestita bene, produce soldi e crea fortune come dimostrano non solo le case tedesche, ma la stessa Fiat che oggi vale un multiplo di quello che valeva il giorno dell’ingresso di Marchionne al riparo di shock finanziari che invece distruggono le fortune in pochi mesi di borsa.