Il mercato europeo delle auto rallenta, ma quello mondiale va benissimo. L’anno scorso sono state vendute nel mondo 88,1 milioni di auto nuove (+4,8% sul 2015) e c’è chi, come Ihs Automotive, una società specializzata di consulenza, scommette che nel 2020 si supererà lo straordinario traguardo dei cento milioni di veicoli immatricolati. A trainare lo sviluppo c’è la Cina, dove il mercato corre come un treno: lo scorso anno hanno messo su strada 28,1 milioni di mezzi nuovi (+14,7% sull’anno precedente) e anche quest’anno le vendite aumenteranno di un altro 5%. Ma non vanno male anche gli altri grandi mercati del mondo: nel 2016 sono state immatricolate 17,5 milioni di auto negli Stati Uniti (settimo anno consecutivo di crescita), mentre in Europa hanno lasciato le concessionarie 15,1 milioni di veicoli (+6,1% rispetto al 2015).



I trend sono questi e sono in crescita. Poco importa se nel 2017 caleranno un po’ le vendite negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei. Poco importa se il Brasile da un paio d’anni soffre per un mercato che continua contrarsi. Tutti i costruttori sanno che il totale dei numeri è, e sarà, comunque in crescita. Il problema invece è un altro: i margini di guadagno. Perché produrre e vendere auto perdendoci denaro e producendo utili risicati è relativamente semplice. Il difficile è farlo remunerando maniera decente l’immensa mole di capitale necessario a tenere in piedi un’industria manifatturiera complessa e gigantesca come quella dell’auto.



Qualche esempio? Fca ha un Ebit (un reddito operativo della gestione caratteristica) di 6,1 miliardi su un fatturato di 111, General Motors 12,5 miliardi su 166, il Gruppo Volkswagen 14,6 miliardi su 217. E altri vanno anche peggio. Siamo largamente al di sotto dell’8%, una percentuale inaccettabile per moltissimi altri settori. Giusto per citare quasi a caso alcuni: Apple ha un margine del 30%, Lvmh, il gruppo francese del lusso, del 18,6% e persino Tod’s, che lo scorso anno non è andato certo bene, è riuscito ad avere un margine operativo dell’11,9%.

Per aumentare i guadagni ci sono tre strade possibili. La prima è quella di spostarsi verso segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto, il cosiddetto segmento premium. È quello che ha fatto Marchionne in Fca puntando tutto prima su Jeep e poi su Alfa Romeo e Maserati. Ed è quello che ha tentato di fare Psa con il marchio Ds con risultati finora decisamente scarsi. Man mano che le auto diventano più costose, aumentano i guadagni. Nel 2013 un’università tedesca aveva calcolato che su ogni auto venduta Porsche intascava 16.500 euro, Kia 900 euro e Nissan 800 euro. La considerazione è confermata dai dati di bilancio di Ferrari che lo scorso anno ha fatto registrare un Ebit di 632 milioni su un fatturato di 3,1 miliardi (oltre il 20% di margine operativo). Ma creare o rilanciare un marchio premium non è una cosa facile e il sostanziale fallimento di Ds di Psa lo dimostra. Occorre avere un marchio di prestigio o spendere un mucchio di denaro per farlo conoscere. Poi bisogna costruire auto premium e disporre della tecnologia per farlo. È una missione impossibile per quasi tutti, tranne forse che per Marchionne.



La seconda strada è vendere anche qualcos’altro che permetta di guadagnare di più. La prima cosa sono i prodotti finanziari. Tutti i grandi costruttori, da soli o in società con un istituto di credito classico, hanno la propria banca e molti, specie nei periodi di crisi, hanno fatto quadrare i bilanci grazie a essa. Poi ci sono i servizi di mobilità come il car sharing, i servizi di comunicazione, le mappe interattive, le app, la tecnologia sull’auto e il post vendita, la manutenzione. I primi quattro, a dire il vero, per ora producono poco o nulla dal punto di vista dei guadagni, ma sono come internet; bisogna starci dentro nel caso qualcuno scoprisse come farci dei soldi veri. Gli ultimi tre invece vanno fortissimo già ora.

Ma se il post vendita e la manutenzione sono in voga da sempre, la vendita delle tecnologie legate all’auto è una novità interessante. Costa poco e può essere venduta a caro prezzo. Per esempio, una telecamera posteriore su un’auto può arrivare a costare 500 euro, più di un apparecchio quasi professionale come la GoPro, un assistente al parcheggio arriva a superare i 1.500 euro e un navigatore con uno schermo touch screen più di 2.000 euro. In questo ambito i ricarichi sono stratosferici perché una cosa è avere l’apparecchio integrato nell’auto e un’altra è attaccarlo al vetro con una ventosa.

La terza strada, quella maestra, è la riduzione dei costi e la diluizione degli investimenti attraverso la concentrazione industriale. A ben guardare nel mercato mondiale ci sono solo due costruttori che superano di poco o sfiorano i 10 milioni di auto prodotte (Volkswagen e Toyota) e che, quindi, hanno poco più del 12% di quota, tutti gli altri hanno quote inferiori. Nessuno è abbastanza grande da dominare il mercato e ci sono decine di settori in cui la concentrazione più marcata. La strada con ogni probabilità è già segnata per tutti. Non solo per Fca.