Fca, Gm, Volkswagen, quale futuro per Fiat? Dal salone di Ginevra è “uscita” l’immagine di una Fiat molto diversa da quella a cui eravamo abituati solo tre mesi fa. Marchionne ha prima detto che una fusione con General Motors è ancora desiderabile e che questa operazione ha senso anche dopo la cessione di Opel a Psa e poi ha aggiunto che anche Volkswagen potrebbe nel tempo considerare razionale colloqui per una fusione. La premessa, ribadita ieri ancora una volta, è che le dimensioni nel settore auto siano cruciali.
I nomi citati non sono sconosciuti a chi segue le vicende Fiat. Il gruppo americano ha rifiutato una proposta diretta di Marchionne recapitata per mail all’ad Barra, mentre il gruppo tedesco è stato per una lunga fase accostato a Fiat che suscitava l’interesse del suo presidente Piech; l’uscita di scena del manager è coincisa con la fine dei rumour. Passati i rumour su Volkswagen e incassato il rifiuto di General Motors, Fiat era concentrata sul lancio dei nuovi modelli in particolare nel segmento premium con Alfa Romeo. Il mercato osservava con interesse i risultati degli investimenti del gruppo Fiat sapendo di poter contare sulla certezza del mercato americano. Da ieri il sottofondo “speculativo” è un po’ più evidente.
Se l’amministratore delegato di un gruppo si fa avanti in modo così poco ortodosso per perorare una fusione spedendo lettere a cui si risponde con un no, allora l’interesse deve essere molto forte. Ammettiamo che in questo scenario c’è il rischio di perdersi, ma ci sono alcuni punti fermi. Gli azionisti di Fiat sono sicuramente favorevoli a un’operazione “stile General Motors”. Scriviamo fusione, ma sostanzialmente si tratterebbe di una acquisizione perché GM è grande tre volte e mezza Fiat, il cui azionista principale passerebbe da una partecipazione del 30% a una di circa il 7,5%; ancora peggio nel caso di Volkswagen che è grande quasi cinque volte Fiat. Il secondo punto fermo è che se il tema di una aggregazione di Fiat dura da cinque anni e include dichiarazioni esplicite e proposte ancora più chiare, allora non è una questione di “se” ma di quando. Se Marchionne o la famiglia Agnelli dicessero di non essere più interessati a una fusione e di voler portare fino in fondo la scommessa sull’alto di gamma e su Alfa Romeo allora avremmo una “notizia”; se dicessero che Fiat può raggiungere una dimensione sufficiente con la crescita organica anche se questo richiede molti investimenti per lungo tempo, allora dovremmo voltare pagina. Invece la questione si ripropone con costanza da quando la fusione con Chrysler era una ancora una novità.
Oggi dobbiamo concludere che questa fusione non si fa non perché Fiat non vuole, ma perché i partner che vanno bene a Fiat non corrispondono l’interesse. Possiamo solo concludere che quando l’interesse dovesse arrivare allora avremmo la “fusione”. Gli azionisti di Volkswagen si guardano indietro e possono dire di essere molto soddisfatti; il gruppo tedesco non ha bisogno di Fiat, anche se la sua quota di mercato in nord America deve fare gola soprattutto dopo lo scandalo Dieselgate. La questione del prezzo non deve essere secondaria perché da un punto di vista industriale mettere le mani sulla presenza americana di Fca ha tutto il senso del mondo. Più Fiat va bene in America e più ha successo nell’alto di gamma, più Volkswagen sarà interessata a una fusione al prezzo del venditore.
Il caso di General Motors è diverso: i risultati di GM non sono particolarmente brillanti considerato l’exploit del mercato americano e paragonati, per esempio, a quelli della Fiat di Marchionne. Gli azionisti di General Motors probabilmente starebbero a sentire le tesi di Marchionne che ha fatto miracoli finanziari e industriali con cui si potrebbero riempire un paio di libri. L’idea di aumentare il ritorno sul capitale spalmando gli investimenti su un numero maggiore di auto e tagliando base produttiva inutile non è affatto peregrina. Sarà anche per questo che a un certo punto sono comparsi i rumour di un’offerta “ostile”, carta contro carta, di Fca su GM; la premessa di questo rumour è che dall’altra parte ci siano azionisti disposti ad ascoltare. Rimarrebbe da capire chi guiderebbe il nuovo gruppo: l’attuale ad Barra o Marchionne che difficilmente propone una fusione con cui perde il posto. Immaginiamo che in questo secondo scenario l’ad Barra non sia preda di entusiasmi particolari.
In tutto questo bisogna chiedersi se gli azionisti di Fiat abbiano fretta di chiudere una operazione e se sì quanta. Se da una parte c’è fretta e dall’altra invece si aspetta che si creino le condizioni giuste, allora c’è un problema. È assolutamente possibile che i prossimi tre-sei mesi possano essere decisivi in questa “diatriba”.