Mai credere a Sergio Marchionne, specie quando veste panni non suoi e getta acqua sul fuoco, minimizza, usa toni dimessi. Qualche giorno fa lo aveva fatto definendo «debole» il primo trimestre del 2017: «Sapevamo», aveva detto, «che sarebbe stato il più difficile» per colpa del mercato americano che ha fatto registrare una flessione «legata alla fine della produzione della Chrysler 200 e all’andamento delle flotte aziendali». Ieri, invece, ha presentato al mondo risultati trimestrali che neanche il più ottimista degli analisti aveva avuto il coraggio di ipotizzare. Utile netto in crescita del 34% a 641 milioni di euro, ricavi netti in aumento del 4% a 27,72 miliardi grazie a un migliore mix di consegne, utile operativo (Ebit adjusted) in aumento dell’11% a 1,535 miliardi (5,5% del fatturato). Lo spauracchio americano sventolato da Marchionne pochi giorni prima si è tramutato in un calo dei ricavi da 17,136 miliardi a 17,1 miliardi nell’area Nafta compensato ampiamente da misure di «efficientamento» che hanno spinto l’Ebit adjusted a crescere da 1,227 a 1,241 miliardi con un margine in progresso dal 7,2% al 7,3%.



In Europa le cose sono andate ancora meglio: i ricavi sono saliti del 12% a 5,63 miliardi grazie anche ai nuovi modelli Alfa Romeo Giulia e Stelvio, mentre l’Ebit adjusted è cresciuto dell’85% a 178 milioni per fino a toccare quota 3,2% del fatturato. L’indebitamento industriale netto, poi, è salito fino a 5,1 miliardi di euro, con una crescita stagionale rispetto a dicembre 2016 ridotta a mezzo miliardo di euro, meno della metà di quanto ipotizzato dalle stime degli analisti che si aspettavano un dato vicino ai 6 miliardi.



Se questo era il trimestre più difficile, che risultati farà Fca nei prossimi tre del 2017? Vedremo. Intanto ieri in Borsa il titolo è stato prima sospeso al rialzo e poi ha chiuso con un guadagno di quasi il 9%. Merito dei conti, ma anche dell’ipotesi concreta di un taglio dal 35% al 15% delle tasse per le aziende in Usa che dovrebbe beneficiare non poco Fca e di almeno quattro dichiarazioni di Marchionne. La prima è sui marchi di punta del Gruppo: il ceo ha detto che Alfa Romeo e Maserati nel 2017 dovrebbero vendere «un totale di 230 mila auto pari a circa il 2,5% circa del mercato globale del segmento premium». È un buon numero se si considera che Jaguar, senza, però, il supporto di modelli più piccoli come la Mito e la Giulietta, lo scorso anno ha venduto in tutto il mondo meno di 150 mila vetture. Nella seconda dichiarazione Marchionne, riferendosi alla vendita di Magneti Marelli, ha detto che «nessuna cessione» viene pensata «per ridurre il debito, ma solo per creare valore per gli azionisti». Insomma, non ha detto che si farà. La terza è stata sui colloqui per un possibile merger con Volkswagen: «Non ho parlato con Müller (ceo del gruppo tedesco, ndr): ero impegnato a realizzare il miglior trimestre della nostra storia», ha scherzato Marchionne.



Poi gli hanno posto una domanda che, insieme alla risposta, sembra fatta apposta per generare aspettative, immaginare scenari nuovi ed eccitare i centri studi finanziari: «Pensa che Jeep e Ram, da sole o insieme, siano abbastanza forti, abbastanza grandi da esistere come entità indipendenti, al di fuori di Fca, come Ferrari?», gli ha chiesto un analista. Marchionne ha risposto semplicemente «Si». Nient’altro.

Ora chiunque può leggere queste frasi come vuole: una dichiarazione di stima per i due marchi, il possibile studio di una futura scissione come è accaduto per Cnh e Ferrari, magari un’ipotesi di vendita separata per uno dei due brand. Tutto è lecito e benvenuto, soprattutto, se fa salire il valore delle azioni.