“Marchionne lascerà Fca nel 2019. Il 2018 lo farà tutto perché vuole portare avanti il piano”, lo ha detto John Elkann intervistato nell’ambito dell’iniziativa Panorama D’Italia. “In Fca abbiamo tantissime persone brave che potranno succedergli”, ha aggiunto. Ma in realtà non è vero. Non c’è nessuno in Fiat che abbia le capacità di Sergio Marchionne e non c’è nessuno che gli stia alla pari in tutto il panorama dell’industria automobilistica mondiale. Anzi, a dire il vero c’è, si chiama Ferdinand Piech, ma la settimana prossima compirà 80 anni e ha venduto la sua quota in Porsche con cui per decenni ha controllato il gruppo Volkswagen. Solo l’anziano discendente della dinastia Porsche è riuscito a fare quello che ha fatto il figlio del maresciallo dei carabinieri abruzzese emigrato in Canada: ridare vita a un gruppo automobilistico sull’orlo del fallimento.
Perché, anche se molti lo scordano, quando il primo giugno del 2004 Marchionne arrivò in Fiat, l’azienda sembrava essere in una crisi senza ritorno. Erano morti Giovanni e Umberto Agnelli. L’allora amministratore delegato, Giuseppe Morchio, si era dimesso dopo che la famiglia si era rifiutata di nominarlo presidente. Marchionne, allora, andava a mangiare in pizzeria da solo o con la compagnia del suo autista. Nessuno lo conosceva. Ma tutti hanno imparato a conoscerlo. Ha licenziato centinaia di manager “torinesi” e messo in piedi una squadra di “signor nessuno” che arrivavano da fuori e hanno dato nuova linfa all’azienda. È riuscito a “scippare” più di un miliardo a General Motors per non “essere comprato” e, anche con quei soldi e con l’aiuto di Lapo Elkann, è riuscito a mettere sul mercato la nuova 500 che ha dato il via alla rinascita del gruppo. Ha preso per un tozzo di pane Chrysler, il terzo costruttore Usa, fallito, e l’ha rimessa in linea di galleggiamento riuscendo in un’operazione che era costata una perdita di almeno una quartina di miliardi di euro ai tedeschi di Mercedes qualche anno prima.
Insomma, Marchionne è una specie di Re Mida. Basta una cifra per dimostralo: dal giorno in cui è entrato in Fiat il valore delle azioni sono cresciuto da 1,67 euro a quasi 10 euro. Il valore dell’azienda è aumentato di 8 volte in un periodo in cui General Motors e Chrysler sono falliti, Peugeot Citroen è stata salvata dal governo francese e dai cinesi, Saab è sparita. Inoltre, l’ad di Fca sta riuscendo nella quasi impossibile impresa di trasformare la sua azienda da costruttore mass market di utilitarie in un gruppo con un pool di brand che sono o aspirano a diventare premium, come Alfa Romeo, Abarth e Maserati, per avere margini di guadagno più alti. E lo ha fatto con la cassa vuota – o quasi -, lesinando investimenti.
Tutti nel settore conoscono la sua abilità durante le trattative e le sue capacità strategiche e organizzative. Ed è questo uno dei problemi per una crescita dimensionale esterna: nessun altro manager automotive vuole trattare con lui perché sa che dopo una fusione o un’acquisizione il peso di Marchionne nella nuova realtà non potrebbe che essere preponderante. Dopo il 2019 sarà più facile. Per questo la frase pronunciata da John Elkann. “Fca va avanti sotto la guida di Marchionne” è la conferma che in vista non c’è niente di concreto sul fronte di una eventuale fusione. Poi si vedrà. O Marchionne sarà riuscito a “sposare” Fca con un altro grande costruttore oppure, forse, sarà il momento di Alfredo Altavilla, nato a Taranto, Chief Operating Officer Emea, capo del gruppo in Europa Africa e Medio Oriente dal novembre 2012 ed Head of Business Development (si occupa di trovare e sfruttare nuovi mercati e nuove aree di business) dal 2011.
Molti lo considerano il vero delfino di Marchionne e lo vedono in prima fila nella successione. Altavilla, in Fiat dal 1990, è l’anima internazionale del gruppo. Lui si occupava delle relazioni con General Motors quando il costruttore americano doveva diventare il nuovo padrone e si è poi interessato di tutte le alleanze in giro per il mondo. A lui vanno attribuiti, in buona parte, i molti successi in questo campo e anche gli insuccessi. Oppure sarà il momento dell’inglese Michael Manley che ha iniziato la sua carriera nel 2000 occupandosi delle vendite di DaimlerChrysler in Inghilterra e ora guida Jeep e Ram.
Che siano loro i successori o un altro, fa poca differenza. Nessuno sarà come Marchionne.