È meglio intervenire prima che lo scandalo dilaghi. Questa in sintesi è la filosofia che ha spinto Daimler ad annunciare un mega richiamo di tre milioni di vetture Mercedes con alimentazione a gasolio Euro 5 ed Euro 6 vendute in Europa. In pratica, tutte, o quasi, le vetture diesel immatricolate dalla casa automobilistica di Stoccarda. Non si è capito bene se questa misura sia stata sollecitata dall’autorità (la magistratura o il ministero dei Trasporti) oppure se sia il tentativo di chiudere la stalla prima che i buoi spariscano. E non lo si è capito, semplicemente dalla sede della Daimler non hanno voluto farlo sapere. Ma il senso del mega richiamo è chiarissimo: qualcosa non va nelle emissioni delle vetture a gasolio del costruttore della stella, una muta di cani lo sta inseguendo e bisogna di fare di tutto per scrollarseli di dosso. Anche spendere 220 milioni di euro, perché è questa la cifra (a dire il vero un po’ bassina perché si tratta di una 70 di euro a vettura) che a Stoccarda dicono che dovranno sborsare per portare a termine il mega richiamo delle 3 milioni di vetture.
Le vicende Daimler, con le perquisizioni negli uffici di Stoccarda fatte con un dispiegamento di forze degno di miglior causa e con le fughe di notizie sui quotidiani tedeschi che si sono susseguite negli ultimi mesi, possono sembrare a prima vista una semplice continuazione dello scandalo dieselgate che è costato decine e decine di miliardi al Gruppo Volkswagen, ma segnano due elementi di discontinuità importanti rispetto al passato. Discontinuità che però sono contraddittorie e probabilmente sono frutto di due linee di pensiero e di due vere e proprie fazioni in lotta tra di loro.
La prima è che l’attacco ai costruttori automobilistici non arriva da un Paese straniero e in particolare dagli Usa, ma dalle autorità della Germania che ha tutto da perdere e nulla da guadagnare da uno sputtanamento dei propri marchi più prestigiosi. Ma, diciamocelo, la figura peggiore nello scandalo delle emissioni l’ha fatta l’autorità federale dei trasporti tedesca che era la responsabile dei controlli sulle auto prodotte in Germania. Ci sta che abbiano il dente avvelenato e che cerchino una sorta di rivincita dopo essere stati presi in giro per anni. Ma questa è una tendenza in atto, non solo in Germania ma anche in Francia: una sorta di ordalia giustizialista e autolesionista che finora ha coinvolto in veste di vittima anche Audi, Renault e finirà per coinvolgere anche Bosch.
La seconda discontinuità rispetto al passato è una gestione più soft dello scandalo. Daimler non ha mai ammesso di aver “taroccato” i sistemi di rilevamento delle emissioni e anzi fino a pochi giorni fa la Casa di Stoccarda aveva reagito duramente alle indiscrezioni di stampa: «Adotteremo tutti i mezzi legali per difenderci da ogni accusa che arriva dall’Autorità Federale dei Trasporti tedesca», aveva detto il portavoce del marchio. Poi c’è stato un incontro al ministero e i toni sono cambiati. Si è cominciato a parlare di discussioni costruttive, di clima aperto e di una ricerca comune di soluzioni positive, ecc. E infine è arrivato il mega richiamo di 3 milioni di vetture diesel in Europa deciso Daimler.
Se vincerà la logica della vendetta dell’autorità federale dei Trasporti che passa le notizie ai giornali o quella del ministero che cerca di non buttare via il bambino con l’acqua sporca, ancora non è dato sapere, ma in ogni caso sarà una battaglia lunga e, specie per le case automobilistiche, molto costosa.