Petrolio addio? In pochi giorni il futuro a quattro ruote sta mutando. A velocità supersonica. Per limitarci all’ultima settimana, la notizia bomba è arrivata da Stoccolma. A partire dal 2019 Volvo venderà solo automobili elettriche o ibride. Salvo una piccola percentuale per i clienti più conservatori o diffidenti che potranno acquistare macchine con un motore a scoppio di piccole dimensioni, abbinate però a una grande batteria elettrica. È la prima volta che un produttore tradizionale adotta una strategia in linea con la filosofia di Elon Musk, il fondatore di Tesla, l’azienda nata per creare auto di nuovo tipo. Un’impresa facile a dirsi assai più che a farsi. Sempre questa settimana la Tesla S, l’auto che dovrebbe segnare l’esordio del gruppo nella produzione di massa (sono previsti 300 mila pezzi contro le 70 mila vetture di alta gamma finora uscite dalle linee della fabbrica) ha affrontato l’esame delle autorità federali. Il risultato è stato una stentata sufficienza, cosa che imporrà a Musk di rivedere alcuni aspetti del progresso prima di passare alla vendita. Una battuta d’arresto che è costata circa 10 miliardi di dollari di capitalizzazione al gruppo in due sole sedute: Tesla che oggi vale poco più di 59 miliardi, ha così momentaneamente ceduto lo scettro di società più capitalizzata a General Motors (52 miliardi), che sforna ogni anno dieci milioni di auto.
Nemmeno il tempo di digerire queste notizie ed eccone un’altra shock da Parigi. Il ministro francese dell’Ambiente, Nicholas Hulot, ha annunciato la volontà del governo Macron di fissare l’obiettivo dell’uscita entro il 2040 dall’era del motore a scoppio, alimentato a benzina, diesel o con altro combustibile. A quella data le auto in commercio in Francia dovranno essere elettriche, ibride o marciare a idrogeno o, chissà, con l’energia solare. In ogni caso, allora saranno banditi i combustibili tradizionali. Una rivoluzione, insomma, che richiederà un forte impulso pubblico, vuoi per l’imposizione di nuove regole che per gli incentivi finanziari alla ricerca e alla vendita. Inoltre, Parigi si propone di allargare la sua sfida all’intera Unione europea, perché ormai non è più tempo, non solo in economia, della rivoluzione in un solo Paese. Una sfida giacobina accompagnata da misure fiscali che, nel tempo, renderanno sempre meno conveniente il motore a scoppio già bandito nelle principali città.
Ma, a ben vedere, il progetto transalpino non è né l’unico, né il primo. A muoversi per prima è stata l’India, che si è posta l’obiettivo di vietare la vendita delle “vecchie” auto entro il 2030. Diversi Paesi europei hanno in cantiere misure simili: Norvegia e Svezia, ma anche l’Olanda e presto, probabilmente dopo le elezioni di settembre, potrebbe prendere il via un analogo progetto tedesco. Entro l’anno, in ogni caso, sia Bmw che Daimler sforneranno nuove vetture elettriche, mentre il gruppo Volkswagen, a partire di Audi, accelera gli sforzi per entrare a pieno titolo nella nuova epoca cancellando l’ombra del dieselgate.
Il futuro, insomma, è già realtà. Anche perché il cambiamento riguarda anche l’evoluzione dell’auto a guida autonoma e, di riflesso, la creazione di nuovi modelli di business basati sulla sharing economy. Un processo impetuoso, iniziato il maniera spontanea e confusa (come si è lamentato Sergio Marchionne), ma che si avvia a conoscere presto regole precise. Nell’attesa si possono trarre alcune indicazioni.
1) Va segnalato il caso Volvo. L’azienda è stata ceduta nel 2009 da Ford, investita dalla crisi dei subprime. L’azienda americana decise allora di liberarsi dei marchi acquisiti negli anni Novanta (compresa Jaguar) per far fronte al crollo del mercato Usa. Dopo mille resistenze, la Svezia accettò l’arrivo dell’offerta della cinese Geely (1,8 miliardi di dollari), in pratica l’unica. Stoccolma temeva la fuga della tecnologia e l’impoverimento dell’immagine del marchio, sotto la pressione di un parvenu, appena approdato nel mondo delle quatto ruote. All’opposto, in questi anni la Cina ha conquistato la leadership nell’auto elettrica (250 mila auto nel 2016, contro sole 110 mila nell’intera Europa), un primato che Pechino intende consolidare entro il 2030, quando otto auto su dieci al mondo non avranno più il motore a scoppio, se il trend continuerà ai ritmi attuali.
2) Il successo della formula Volvo ha una sola spiegazione: gli enormi investimenti in R& S, gli stessi che il mercato finanziario Usa ha garantito a Tesla, assieme alle risorse messe in campo da Apple, Google e gli altri Big della tecnologia. In Europa la sfida è stata raccolta dai grandi dell’auto tedesca, ma anche dall’accoppiata Renault-Nissan.
3) E l’Italia? Fiat, grazie a Chrysler, si è accodata alla scuderia di Google. Una scelta obbligata per godere, pur in posizione subalterna, dei benefici della ricerca di Silicon Valley. Ma è evidente che in assenza di un impegno adeguato dell’industria di casa nostra nell’ambito del progetto 4.0 il futuro di uno dei pochi settori in cui possiamo vantare una leadership è fortemente a rischio.